giovedì 27 dicembre 2007

TITOLO ORIGINALISSIMO: E TRA UN PO’ E’ CAPODANNO…

Quindi, per chi è single un pezzettino d’augurio per la sera dell’ultimo. E' lungo ma non è male, ovviamente non è tutta farina mia. Anzi, di farina mia ce n'è poca, giusto dove serviva.

IL PERFETTO RAPPORTO SESSUALE SECONDO LA DONNA
Lei arriva a casa di lui con appena 45 minuti di ritardo, ampiamente giustificato dalla scelta del vestito.
Lui la riceve in smoking, musica soft, luce soffusa che viene da candele profumate, un enorme mazzo di rose rosse che le offre ovviamente in ginocchio.
Lei sorride soddisfatta e accetta l'omaggio floreale.
A tavola, cena preparata da lui: carpaccio di pesce spada, tagliolini al tartufo bianco, aragosta alla griglia e champagne. Il tutto in porzioni calibrate alla perfezione per la dieta di lei. Finita la cena, regalino: anello di brillanti dentro la coppa di champagne che le offre mentre l'accompagna in salotto vicino al caminetto. Accetta con un sorriso. Accende l'impianto, diffondendo per la casa la sua canzone preferita. Ballo lento stretta al suo petto ampio, caldo e profumato malgrado il pomeriggio passato ai fornelli. Poesia d'amore scritta appositamente per l'occasione, sussurrata all'orecchio. Labbra che si sfiorano e poi finalmente si incontrano in una passione senza fine. Le mani di lui, mantenute perfettamente da una sessione di manicure, che scorrono gentili sul corpo di lei. Abbandono tra le sue forti braccia. Lui che la solleva e la porta, sempre guardandola negli occhi, in camera, dove li aspetta un enorme letto a baldacchino bianco con cuscini dappertutto. La spoglia lentamente con baci leggeri su tutto il corpo e l'adagia dolcemente sui cuscini. Lui si spoglia lentamente come uno dei Chippendales, il corpo statuario di lui che scivola sul corpo di lei e si sofferma con la bocca nella sua intimità.
Lei raggiunge l'apice del piacere almeno un paio di volte, cercando di trattenere le sue sedate voglie. Piatto forte: la sua perfetta virilità la riempie; lei rilassata, lui fa tutto il lavoro, con dolcezza e abilità. Lei raggiunge parecchi orgasmi, in attesa di quello di lui che giunge solo quando lei non ne può proprio più. Lei si appaga quando vede che con le sue grazie riesce a far raggiungere l'orgasmo anche a lui che la riempie di complimenti. Lei si sente bella come un angelo e focosa come un diavolo. Lui si sdraia al suo fianco ed inizia una pratica di coccole, grattini e bacini che continuano anche durante il sonno di lei. Sonno profondo da bambina, la mattina dopo colazione a letto.

IL PERFETTO RAPPORTO SESSUALE SECONDO L'UOMO
Arrivo a casa di lei, gli apre la porta vestita di pizzo nero, reggiseno a balconcino (quarta abbondante), giarrettiere. Ovviamente senza mutande. Si mette a quattro zampe e lo accompagna direttamente in camera da letto miagolando. Dopo aver miagolato per un po’ si lecca le labbra e apre la bocca invitante. Excalibur esce dal fodero, letale come sempre. Spontaneo "oooh" di lei diviso tra ammirazione e timore: "Oddio che bestia!. Mi ci starà tutto quanto?"
Aperitivo alla bolognese, mugolone di 10 minuti senza respirare, con lei che gli prende le mani e se le mette sulla testa chiedendo di essere usata; primo squassante orgasmo di lei, senza alcun contatto fisico. Basta la presenza.
Schiocco delle dita di lui e lei si alza in piedi istantaneamente.
Altro schiocco: i (pochi) indumenti di lei cadono a terra. Prima penetrazione: lui sta in piedi e se la carica addosso. Lei spalanca gli occhi incredula di tanta virilità. Lui la regge per un quarto con le braccia e per tre quarti con il piolo. Durata della prestazione 18 minuti abbondanti, durante i quali lui la porta in giro per la casa e si guarda attorno, tanto per ambientarsi un po’. Sceglie anche un paio di Cd e chiede a lei di metterli nel lettore perché con le sue tette davanti proprio non ci arriva.
Cambio posizione: pecorina da 25 minuti, con lei con i gomiti appoggiati al tavolo. Piatti e bicchieri che cadono a terra. Lei ha un orgasmo ogni 30-40 secondi, con ululati che confermano a tutto il condominio la virilità del vero maschio latino. Anzi: di questo maschio latino, per gli altri non ci si mette la mano sul fuoco.
Cambio posizione: a terra, stile missionario e variante acrobatiche a combo per un totale di 23 minuti. Lei si frattura un'ulna contro un mobile ma gode talmente tanto che non se ne accorge.
Altro cambio: smorza-candela da 36 minuti. Lei urla, si sente posseduta come non mai e implora di continuare. Al quarantesimo orgasmo avviene il miracolo dell'eiaculazione femminile gridando di vedere Madonna Veronica Ciccone che canta Like A Virgin. Quindi va in cucina e si beve un paio di zabaioni, un tubetto di Supradyn e prende alcune fialette di carboidrati a rilascio immediato, per recuperare le forze. Lui, nel frattempo fuma una sigaretta, senza perdere mezzo millimetro di virilità.
E' passata più di un'ora di rapporto continuato e, nonostante la pausa, lei si scusa che "le brucia un po'". Gli strizza l'occhiolino facendo intendere che ci sono anche altre strade disponibili.
Sodomia feroce per 43 minuti: lei viene venti volte e lo implora di sculacciarla perché, oltre tutto, è una cattiva bambina. Le sculacciate vengono elargite mentre in Tv la squadra del cuore di lui vince il derby 5-0. Gran finale: mugolone impavido, sotto la doccia. Fuochi di artificio e applausi fragorosi di tutti gli abitanti del quartiere. Riposo del guerriero: birra doppio malto gelata mentre riguarda i goal, mentre lei in ginocchio e febbricitante di piacere gli sussurra che si è sentita scopata davvero per la prima volta in vita sua. Lui risponde con un rutto che la spettina, lei si eccita e implora di poter eseguire una nuova fellatio, che le viene concessa con grande magnanimità.
Dormita epocale con russata e scoregge.

LA TRISTE REALTA'
Si conoscono in discoteca dove ballano la bachata il giovedì sera.
Escono, sono sulla Fiat Punto di lui e iniziano a pomiciare.
Fiato di lui: 1 Negroni, 1 Cardinale e 2 Tequila Sunrise.
Fiato di lei: 12 sigarette. Praticamente una distilleria clandestina che lecca un portacenere. Lui le mette le mani addosso, saltando accuratamente il collo per afferrarle con forza il seno; a lei non dà propriamente fastidio, e ricambia vagamente con delle strofinate sulla coscia di lui.
Lui la crede eccitata, sbottona i pantaloni, le mette una mano dietro la nuca e cerca di spingerle la testa verso il basso. Il collo di lei diventa marmoreo, come quello di Mike Tyson quando riceve un diretto.
Lui insiste per un attimo, poi i crampi al bicipite gli fanno intuire che è il caso di smettere e decide di pomiciare ancora un po'.
Illuminazione di lui: "Se gliela lecco io, lei non potrà rifiutarsi di ricambiare".
Lui scavalca i sedili, mette in folle col ginocchio ed è costretto a tirare il freno a mano di fretta per non finire in fondo al parcheggio.
Con il culo sposta lo specchietto retrovisore e col piede alza il volume dell'autoradio al massimo spostando automaticamente la frequenza su Radio Maria. Si becca quindi un rosarione a squadre con la stessa rumorosità di un jet in decollo.
Si fionda tra le gambe di lei e le alza la gonna. Cerca di infilarle la lingua da qualche parte, ma complice la cellulite a materasso e il tanfo di gnu in putrefazione il compito è arduo.
Alla fine riesce a trovare qualcosa che a naso assomiglia a una vagina, ma la barba incolta fa effetto-Velcro con la peluria di lei. Una volta disctricato ci riprova, ma la sua inettitudine rende l'esperienza scarsa.
Lei reagisce freddina e lui capisce che il pompino è ormai un miraggio.
Nuovo piano. Lui si alza con l’occhio iniettato di sangue e un sorriso vacuo che crede sia la copia di quello di Clooney. Solo che al Giòrg viene bene, lui sembra un pirla in autostrada a Ferragosto con il condizionatore rotto. Estrae il portafoglio tentando il colpo di teatro. Da sotto lo scudetto della squadra del cuore estrae un preservativo. Fallisce il primo tentativo di apertura scenografica della confezione: poche unghie, la bustina scivola sotto il sedile. Lei in un momento di compassione gli apre il preservativo. Lui estrae fiero il suo membro. Lei lo guarda e gli passa il preservativo annunciando che non ha una manualità sufficiente per metterglielo. Dopo tre tentativi lui riesce a infilarsi il preservativo. Osserva fiero che gli arriva a metà senza capire che l'ha solo messo al contrario.
Lui si mette in qualche modo sopra di lei e inizia a pompare come un forsennato. Lei lo lascia fare per una decina di secondi, poi gli fa notare che in realtà non l'ha ancora penetrata. Inizia la penetrazione. Venti secondi intensissimi. Orgasmo di lui. Riposo del guerriero: lui ansima sudato sopra di lei. Lei infastidita cerca la manovella del finestrino per liberarsi dell'odore acre delle ascelle di lui. Lui si rimette a posto, si controlla i capelli al finestrino, la guarda ed ha le palle di chiederle: "ti è piaciuto?".
Romanticismo bruscamente interrotto dalla testa del guardiano notturno che spunta dal finestrino. Accensione del motore e sgommata veloce.
Gran finale: Lui si vanta con gli amici di aver rimorchiato una strafica e di essersela trombata per bene, Lei confessa all'amica del cuore di aver conosciuto un ragazzo carino ma non c'ha fatto niente perché non se la sentiva.

lunedì 24 dicembre 2007

Un anno domani

Uelà.
Voglio dire.
Uno si distrae un attimo e passa un anno, trecentosessantacinquegiorni in un lampo.
Va' che è una roba bestiale.
Mi ricordo perfettamente dell'anno scorso quando, il 25 dicembre, ho pubblicato il mio primo post.
Vivevo un'altra vita, diversa da quella di adesso.
Un bel po' diversa.
Sono successe un sacco di cose nel 2007, molte delle quali erano belle.
Alcune, però, pessime.
Ma non sono abituato a lamentarmi.
Schiena dritta e pedalare, si diceva una volta.
Io tengo la mia schiena dritta sempre, pedalo e stringo in denti.
D'altra parte "non può piovere per sempre" e tutta questa bella serie di cazzate.

E' presto per i buoni propositi di inizio anno, li posterò a tempo debito.

Se stai leggendo queste righe e ti frega qualcosa del Natale, beh, allora auguri.
Se stai leggendo queste righe e sei ateo sono cazzi tuoi, sappi comunque che domani è tutto chiuso quindi è meglio fare la spesa.

E beccatevi 'sta foto di Sorella Natale che tanto male non fa...

mercoledì 19 dicembre 2007

Ciao, neh?


Fatto sta che una volta avevo un blog, una volta.
Avevo delle cose da fare, posti dove andare, gente da vedere.
E avevo anche un blog.
Poi sono successe delle cose, belle e brutte, pesanti e leggere.
E’ stata una stagione dura.
Troppi amici andati dritti.
E poi il resto.
Il lavoro, la band che finalmente rulla.
Così mi sono levato dalle balle per un po’.
Ne avevo bisogno.
Dieci anni vissuti a velocità costante.
Se vai sempre a 140 quella diventa la tua.
Mi sono divertito, ho fatto il proverbiale giro del mondo e preso un sacco di aerei.
Ho scritto milioni di parole, pigiato tasti miliardi di volte.
Visto cose che spesso, di mio, non mi fregava un cazzo di vedere.
Tipo Las Vegas che poi alla fine mi piace comunque.
Perché I like to move it-move it.
Ma le ho viste e me le sono portate a casa.
Esperienze.
Tutte.
Se vai sempre a 140 quella diventa la tua.
Ma io stavo rallentando da un po’.
Dieci anni di follia vissuti a velocità varranno pure tre mesi a non scrivere.
Di me.
Che adesso riesco a dormire quanto vorrei o quasi.
E sono sereno.
Perché anche a sei sottozero mi metto il casco e, come dicono loro, mi sciacquo via il blues.
E chi non sa che il blues non è solo un genere musicale, si fotta.

Uelà.
Sono tornato.

giovedì 4 ottobre 2007

Live by it...


We believe in going our own way no matter which way the rest of the world is going

We believe in bucking the system that is built to smash individuals like bugs on a winshield

Some of us believe in the man upstairs, all of us believe in sticking it to the man down here

We believe in the sky and we don’t believe in the sun roof

We believe in freedom

We believe in dust, tumble weeds, buffalo, mountain ranges and riding off into the sun set

We believe in saddle bags and we believe that cowboys had it right

We believe in refusing to knuckle under anyone

We believe in wearing black because it doesn’t show any dirt or weakness

We believe the world is going soft and we’re not going along with it

We believe in motorcycle rallys that last a week

We believe in roadside attractions, gas station hot dogs and finding out whats over the next hill

We believe in rumbling engines, pistons the size of garbage cans, fuel tanks designed in 1936, freight train sized head lights, chrome and custom paint

We believe in flames and skulls

We believe life is what you make it and we make it one hell of a ride

We believe the machine you sit on can tell the world exactly where you stand

We don’t care what everyone else believes

Amen

venerdì 28 settembre 2007

Leviamo dalle balle il trailer del film dei Simpson o no?

continuo a non avere molta voglia di aggiornare, ma il filmatino H-D mi prende il cuore ogni volta che lo guardo.

peccato che il trailer dei simpson parta sempre in automatico.

quindi lo cancello, un po' a malincuore, ma va fatto...

ovviamente ho finito per fare casino e cancellare pure quello giusto, adesso tocca beccarsi questo qua che è più piccolo di quello del TuTubo e pesa meno.

logicamente la qualità è inferiore...

cya

martedì 14 agosto 2007

Stamattina

Fatto sta che stamattina, al semaforo, sono lì bello pacioso e tutto cromato che aspetto il verde, quando mi affianca una di queste frecce della malonza. Già non sopporto che non gli si vede la faccia con quei caschi integrali dell'osti, poi fa un caldo della malora e lui è lì, chiuso dentro nella sua tuta di pelle rossa che sgasa come un tamarro.

Avrà un bel po' di caldo, penso... forse è per questo che è nervoso.

Vrom, vroom, vroOom.

Cosa vuole, far la gara? Ma cos'è, ritardato?
Ovviamente l'ho cagato zero e lui è partito con addiritttura un po' di burnout

Così come io non capisco perchè si debbano spendere migliaia di euro per vivere un brivido da 300 all'ora, uno smanettone non capirà mai la bellezza di (cito da un forum) "cavalcare dei trattori su due ruote, ricercandosi ogni giorno come vacche di un' unica mandria".

lunedì 13 agosto 2007

Tanto per dire.

La sola ragione che trattiene la maggior parte dei musicisti rock dall'affondare nell'analfabetismo integrale è la necessità di leggere il manuale d'istruzioni della loro Mercedes.

Gary Trudeau

venerdì 3 agosto 2007

Alt un attimo...

vedi www.eldacar.blogspt.com - Non è che adesso chiunque crei un soldatino futuristico (quindi invariabilmente dotato di googles multicolore e maschera che gli consente di respirare un qualche tipo di gas) deve per forza aver rubato l’idea a qualcun altro. Nello specifico, posto che a me i Guerrilla stanno un po’ sulle palle, non sono così convinto che abbiano rubato l’idea ad altri e per alcune ragioni. Nel cinema, e specialmente nei videogiochi, funzionano gli stereotipi: sono efficaci e servono a veicolare all’utente una serie di informazioni-base, in modo rapido e inequivocabile, visto che in una frazione di secondo il giocatore deve capire se chi ha davanti è un Buono oppure no. Il nero e i colori scuri rappresentano il Male, le tinte vivaci e i colori chiari, il Bene. Easy. Con l’andare del tempo i contorni si sono sfumati e grazie a protagonisti borderline – Jena Plissken al cinema o Sam Fisher nei VG, giusto per citare i primi due che mi vengono in mente – nero, tatuaggi, orecchini o barba lunga sono diventati “cool factors” e non più elementi per identificare gli antagonisti dell’Eroe. Prima di Snake non fumava nessuno, con lui le sigarette sono addirittura diventate strumento di gameplay (ma nelle soap opera è ancora Vietato Fumare). Fortunatamente l’armadio degli stereotipi offre ancora qualche alternativa. Il Cattivo è, di solito, senza volto, un burattino su cui non vale la pena trasferire alcun processo emotivo, se non il feroce desiderio di abbatterlo. Diverso è il boss di fine livello, ma questa è tutta un’altra storia. Per quanto riguarda gli Hellgast, vestiti così, potrebbero anche sembrare un qualsiasi corpo speciale tipo S.W.A.T. Sono Buoni o Cattivi? Sono Bene o Male? Cos’è che ci dice, a colpo d’occhio, che appartengono alla seconda categoria? L’elmetto: esercito tedesco, Seconda Guerra Mondiale. Il Male Assoluto. Lo stereotipo degli stereotipi senza andare a scomodare il Giappone che comunque pesca anche lui da lì. Aggiungo che i Guerrilla sono olandesi e che con quegli elmetti hanno avuto a che fare un bel po’, come noi d’altronde (come tutti in Europa 70 anni fa), ma da noi non c’è nessuno che finanzia lo sviluppo di videogiochi…

Ps: a conferma di tutto. L'immagine che pubblico riporta non già un elmetto ma un casco da motociclista, per chi vuole avere un'attitudine "badass" e da vero cattivo. A me sembra più una roba da "jackass", nel senso di somaro, un casco del genere non lo indosserò mai...

giovedì 2 agosto 2007

Pensa te...

Scopro, non senza una nota di amarezza mista a ironia, che c’è della gente (suppongo mentecatti) che arriva a pagare qualcun altro perché, giocando, si prenda cura del suo avatar su Second Life o WoW. La professione dell’avatar sitter arriva a generare la bella sommetta di 1000 euro al mese, di più di quanto porta a casa uno stageur medio non-Nobel. Va là che siamo veramente messi bene! Che abbia ragione Elton John? E se, perso ormai il lume della ragione nelle pieghe più oscure e recondite della Rete, spegnere Internet per 5 anni non fosse poi tanto una cazzata?
Siamo seri, Elton. Internet serve per lavorare e, ormai, al mondo per girare. Certe cose sono provocazioni simpatiche, un metaforico paio d’occhiali con piume e strass che possiamo indossare ogni tanto giusto per dire che le cose potrebbero essere diverse. Logico che potrebbero. Basterebbe stravolgere completamente l’intero tessuto della realtà così come la conosciamo e far tornare ai livelli di 60 anni fa la circolazione di persone e cose. Niente male davvero.
Poi però succede che sento ‘ste cose degli avatar sitter a 1000 euro/mese (ma ci sono anche “sarti” a 300e/m, “architetti” a 500 e “fotografi” a non so quanto…), che leggo degli attacchi terroristici su Second Life, contro il “regime dittatoriale dei Linden”, che generano morti virtuali e mi fermo a pensare. Ma si, dai. Spegniamo tutto ‘st’ambaradàn schifoso che non si capisce più un cazzo! Rallentiamo un attimo e pensiamo di più da uomini in carne e ossa.
Insieme ad altri, che non possono che essere definiti pionieri, sono stato tra i primi a giocare in rete con il Pc a qualche cosa (Trade Wars, a fine anni ’80, addirittura su Bulletin Boad System, la mitica hal BBS di Varese, c’è un sito memoriale www.halbbs.it), a tuffarmi nel cyberpunk divorando Gibson e sognando impianti neurali con cui vivere la realtà virtuale “da dentro”. Con il Pc mi sono divertito, emozionato – strano ma possibile – e ho anche conosciuto di persona un po’ di gente. Era un periodo nel quale tutto sembrava possibile e forse lo era anche, un momento particolare, come sanno essere particolari solo gli anni dell’Università.
Dove vado a parare? Oggi non lo so mica, sarà che è il 2 di agosto, domani è l’ultimo giorno di lavoro prima delle ferie e non c’è una mazza da fare o forse che mi sono ricordato di avere a casa Comman & Conquer 3 per 360 e di non avergli ancora dato un occhiata. Sono uno stronzo? Ecco qua.

venerdì 6 luglio 2007

Popa Chubby plays Stoop down baby

Mmmmh...

Devo
smetterla
di
pubblicare
foto
di
gatti.

Deliri

Su Eldastyle c’è un po’ di simpatica maretta, mi pare, in relazione alle valutazioni dei giochi storici. Se non ho capito male, la cosa nasce per via di una presunta (e abbastanza concreta) sudditanza nei confronti della stampa estera. In effetti penso che il riferirsi a quello che scrivono gli altri - .com o .uk che siano – per farsi un’opinione, è parte del cazzuto (inteso come “appartenente alla sfera del” e non “forte, dotato di carattere”) complesso d’inferiorità di cui soffre il popolo italiano tutto. Abituati fin da piccoli, quasi istruiti direi, a pensare che siamo genericamente “meno bravi” degli altri, pere della Bellucci e prosopopea calcistica a parte, sviluppiamo una certa insicurezza che ci porta ad aver bisogno di conferme. Fondamentalmente, cerchiamo qualcuno che ci rassicuri e che ci dica che quello che pensiamo/facciamo non sono stronzate tout-cour. Solo allora ci sentiamo autorizzati a trarre le nostre conclusioni. A volte persino a diventare creativi. Ma dove sta scritto che l’opinione di Pinko McLittleball è più autorevole di quella che può sviluppare, autonomamente, un ipotetico e italianissimo Gianeugenio Frustralupi? (ogni riferimento a Gianeugenii Frustalupi realmente esistenti è da considerarsi puramente casuale). Forse nel fatturato della casa editrice? Forse è ora di smetterla con gli atteggiamenti da supereroi che, come carbonari nella solitudine della loro stanzetta, cercano illuminazioni in quello che scrive Gonzalo Frasca o Jeff Gerstmann per poi fare a chi piscia più lontano coi compagnucci di presstour. Tutto questo però mi fa venire in mente qualcosa in più. Nel corso degli ultimi anni, anche in virtù degli tsunami editoriali che hanno investito il settore rimescolando carte e persone, le cose sono cambiate e gli atteggiamenti provinciali da Guerra delle Rose (Lancaster/York, Inghilterra 1455-1487) di cui spesso è stata vittima la stampa di settore italiana, si sono stemperati. Sfugge ancora, però, la “pig picture” dell’industria di cui facciamo parte. Fino a quando i giornalisti videoludici saranno percepiti come quelli che scrivono le pagine che “altri” vendono e fino a quando non si riconosceranno, per primi, una maggiore professionalità, gli “altri” non lo faranno di certo. Lo so, c’è la fila fuori da ogni redazione per un posticino, non dico da redattore, ma da collaboratore esterno, e questo gli editori lo sanno benissimo. Ora scrivo, come diceva la Litizzetto, “una bella cazzata”: incontriamoci, parliamo del nostro lavoro, confrontiamoci sui problemi che abbiamo, organizziamo dei seminari di informazione sulle leggi che ci tutelano, riuniamoci in un’Associazione che ci rappresenti (in effetti c’è già e basterebbe iscriversi, date un occhio qui: http://www.gsaitalia.org/), diamo un’immagine della stampa specializzata che appaia e sia realmente diversa, più forte. Diversamente da così, saremo importanti solo per via delle testate sulle quali scriviamo e continueremo ad essere, sostanzialmente, intercambiabili.

giovedì 5 luglio 2007

Morale della favola

L'immagine non c'entra una mazza ma è troppo carina.
Per il resto, roba vecchiotta ma sempre vera.

Léssòn Uàn
Un uomo va sotto la doccia subito dopo la moglie e allo stesso istante suonano al campanello di casa. La donna avvolge un asciugamano attorno al corpo, scende le scale correndo e va ad aprire la porta: è Giovanni, il vicino. Prima che lei possa dire qualcosa lui le dice: - Ti do 800 euro adesso in contanti se fai cadere l'asciugamano! Riflette e in un attimo l'asciugamano è per terra... Lui la guarda a fondo e le dà la somma pattuita.Lei, un po' sconvolta, ma felice per la piccola fortuna guadagnata in un attimo risale in bagno. Il marito, ancora sotto la doccia le chiede chi fosse alla porta. Lei risponde: - Era Giovanni...
Il marito: - Perfetto, ti ha restituito gli 800 euro che gli avevo prestato?

Morale n° 1: se lavorate in team, dividete rapidamente le informazioni dei fascicoli comuni, potreste evitare dei malintesi o della cattiva pubblicità...

Léssòn Ciù
Al volante della sua macchina, un attempato sacerdote sta riaccompagnando una giovane monaca al convento. Il sacerdote non riesce a togliere lo sguardo dalle sue gambe accavallate. All'improvviso poggia la mano sulla coscia destra della monaca. Lei lo guarda e gli dice: - Padre, si ricorda il salmo 129? Il prete ritira subito la mano e si perde in mille scuse.
Poco dopo, approfittando di un cambio di marcia, lascia che la sua mano sfiori la coscia della religiosa che imperterrita ripete: - Padre, si ricorda il salmo 129?
Mortificato, ritira la mano, balbettando una scusa. Arrivati al convento, la monaca scende senza dire una parola. Il prete, preso dal rimorso dell'insano gesto si precipita sulla Bibbia alla ricerca del salmo 129. Salmo 129: andate avanti, sempre più in alto, troverete la gloria.....

Morale n° 2: Al lavoro, siate sempre ben informati o rischierete di perdere delle ottime occasioni...

Léssòn Frì
Un rappresentante, un impiegato e un direttore del personale escono dall'ufficio a mezzogiorno e vanno verso un ristorantino quando su di una panca trovano una vecchia lampada ad olio. La strofinano e appare un genio. Generalmente esaudisco tre desideri, ma poiché siete tre, ne avrete uno ciascuno. L'impiegato spinge gli altri e grida: Tocca a me, a me... voglio stare su una spiaggia incontaminata delle Bahamas, sempre in vacanza, senza nessun pensiero che potrebbe disturbare la
mia quiete. Detto questo svanisce. Il rappresentante grida: - A me, a me, tocca a me!!! Voglio gustarmi una
pina colada su una spiaggia di Tahiti con la donna dei miei sogni! E svanisce. - Tocca a te... - dice il genio guardando il direttore del personale. - Voglio vedere quei due al lavoro dopo pranzo...

Morale n° 3: lasciate parlare il capo sempre per primo....

giovedì 28 giugno 2007

Delirio portatile

Recentemente mi sto interessando di videogame per cellulari. Non è che mi sono rincoglionito tutto di colpo. E’ piuttosto una questione di disordine, nel senso che non so più dove ho cacciato il mio Ds e, passando sul treno un sacco di tempo, ho necessità di avere qualcosa da fare in alternativa a leggere, dormire o ascoltare musica. Ebbene, c’è un sacco di roba interessante e stimolante anche sui telefonini, partendo dai classici riesumati dal sottoscala del Tempo fino alle cose più nuove, dagli sparatutto ai gestionali. A questo aggiungo che mi interessa anche in un’altra ottica: quanti cellulari ci sono in circolazione nel mondo? Quante console? Occhio e croce sono di più i cellulari… In più: quanto costa sviluppare un gioco per console o Pc e quanto costa farlo per un cellulare? Sicuramente molto meno. Unico neo in tutto questo è che gli sviluppatori, basando la distribuzione di questi prodotti fondamentalmente sulla digital delivery, finiscono per cadere vittime della pirateria e del P2P. Il mercato del gaming pesa, a livello europeo, un bell’8% tondo del totale del mobile content. Apparentemente è poco, ma se consideriamo che il totale vale oltre un miliardo di euro (comprendente tutti i contenuti, dalla musica ai servizi di comunicazione e community, dall’infotainment alla Mobile Tv su Dvb-h e altro ancora – dati School of Managment, Politecnico di Milano) si capisce quanto il business sia notevole. Diversamente EA, Ubi Thq e molti altri non si sarebbero gettati a pesce nel settore. Ma il discorso per gli indipendenti è differente. Se per le major si tratta semplicemente di un altro mercato, un nuovo canale sul quale immettere i loro prodotti, per gli indipendenti potrebbe diventare un core business redditizio, anche se in effetti non lo è perché sono troppo occupati a cercare e acquisire risorse per continuare a lavorare sui giochi. Esempio Massive Entertainment: questo studio, acquisito da Vivendi, ha firmato la bellissima serie Ground Control su Pc. Tra la prima e la seconda uscita sono passati la bellezza di quattro anni, spesi a lavorare sul progetto e, contestualmente, a occuparsi di grafica computerizzata per la pubblicità, per il cinema e la tivù. In occasione della presentazione di GC2 intervistai uno dei boss di Massive. Mi confessò che avrebbero fatto volentieri a meno di “perdere tempo” con tutti quei progetti che non avevano niente a che vedere con il loro focus principale ma che vi furono costretti per non chiudere. Rischioso ma necessario. Rischioso. Infatti, nel frattempo, il brand si era raffreddato. Ok, gioco Pc=soldi grossi, ma è tutta una questione di prospettiva. Che tu sviluppi su cellulare o su 360, i dipendenti devi pagarli in qualche modo. Perché in Italia si sviluppa poco? Perchè, come dice Leone, “non ci stanno le sòld”. E chi anche ne ha d’avanzo non li investe in questo mercato perché non ha convenienza. Altrove, invece, questi investimenti sono detraibili e in più lo Stato crede nella tecnologia e nei giovani, li finanzia e supporta. Fico il gioco su cellulare, e costa anche poco…

giovedì 21 giugno 2007

Ultim'ora

Da www.corriere.it: - Il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, ha deciso (…) di intervenire per bloccare la diffusione del controverso videogioco, il cui lancio in Italia era previsto il 13 luglio. Il gioco in questione più che violento è «definibile crudele e sadico, con un'ambientazione squallida ed un continuo, insistente incoraggiamento alla violenza e al'omicidio» ha scritto il ministro in una nota. Gentiloni ha chiesto alla società di distribuzione Take Two di annullare la data prevista per il lancio in Italia e contestualmente ha chiesto all'Isfe, l'organismo associativo europeo che riunisce i produttori di videogiochi, di affrontare il tema a livello europeo. -

Ciò che il corriere.it non dice, e non lo fa nessuno altro, è a cosa corrisponda concretamente la richiesta di Gentiloni a Take 2.
Se è una semplice domanda, c'è il proverbio che risolve tutto ma non impegna a fare nulla: "domandare è lecito, rispondere è cortesia". E siamo tutti liberi di essere scortesi, volendo.
Se la richiesta è invece corredata da un'ingunzione di qualsiasi Tribunale, allora è tutta un'altra fazenda.

Va anche sottolineato che l'Isfe, dal canto suo, aveva già provveduto a valutare (tramite Pegi) Manhunt 2, prevedibilmente con un bel "+18". Non capisco bene come ora, dopo aver detto che il gioco, per quanto violento e blablabla, fosse "suitable" per i maggiorenni (quindi commerciabile) l'Isfe possa dichiarare qualcosa del tipo "scusate ci siamo sbagliati, nessuno dovrebbe comperarlo".

Forse Gentiloni non sa che all'Isfe aderisce anche Take 2; se lo avesse ricordato, probabilmente, non avrebbe chiesto niente a nessuno e sarebbe andato in Tribunale direttamente.

Furbetti del giochino e coglioni senza tempo

Negli ultimi giorni si parla molto di videogiochi. Non certo a paginate, ma in piccoli trafiletti, qua e là, marzullianamente “piano piano come piace a noi”. Il problema è che non se ne parla bene.


Caso n.1: Manhunt 2.
Accusa: troppo violento e disturbante.
Condanna: divieto di commercializzazione in Inghilterra e (plausibilmente) Irlanda dove il titolo è in fase di valutazione.

Strano. Proprio nel momento in cui T2, a causa di qualche problemino (vedi perdite nette per 50 milioni di $ e ricavi in calo di oltre il 22%) sforbicia il suo managment europeo (Italia compresa) e avoca alla sede di Ginevra tutto il marketing e la comunicazione, arriva la bomba che traghetterà la compagnia americana fino all’uscita di GTA 4.
La domanda ora è: con un ban grosso così appiccicato alla reputazione di un titolo già notoriamente controverso, il giocatore medio inglese, notoriamente incline a spendere abbastanza per i videogiochi, quanto potrà desiderare di averne una copia, magari acquistata su Internet o altre vie commerciali? E quanto potrà crescere l’hype negli altri Paesi che, sulla scorta dell’esempio british, si prenderanno la briga di esaminare il gioco? Quante campanelle faranno salivare i cani di Pavlov?


Caso n.2: Law & Order
Accusa: presenza di un’immagine che ricorda una tragedia.
Condanna: pending, ma in Usa ne è stato chiesto il ritiro.


Strano anche qua. Ed è strano che queste cose siano strane. La mamma di un bimbo, ucciso da due amichetti (ripresi da una videocamera di sorveglianza) ha mosso i primi passi per chiedere il ritiro del titolo dagli scaffali perché, nel gioco, ci sarebbe un’immagine che ricorda quella che ha consentito di arrestare i giovanissimi assassini. Ora, premesso il rispetto dovuto a chiunque sia stato colpito da una tragedia di queste proporzioni, dubito fortemente che la signora sia un’appassionata di videogame, segua tutte le uscite e le preview di un mercato schizofrenico come quello dei videogame. Qualcuno le ha mandato la notizia. Qualcuno le ha mostrato l’immagine. La domanda sbagliata è “Chi è stato?”, quella giusta potrebbe essere “era davvero necessario citare la realtà in modo così preciso?”. Francamente non lo so…


Penso piuttosto che dopo aver inseguito l’attenzione dei media per anni, una volta raggiunto l’obiettivo di debba utilizzare il risultato nella maniera migliore, evitando cadute di stile (leggi: coglionate) di questa entità. E non mi vengano a dire che c’è la libertà d’espressione, che è tutta una questione di fantasia, che il videogioco non riprende il reale. God of War non è reale. Ray Man non è reale. Law & Order, così come C.S.I. (stesso produttore, Legacy Games, ma publisher e distributore diversi in Italia) o i titoli basati sulla Guerra del Golfo si.


Ad majora.

venerdì 15 giugno 2007

Long time no see!

Dunque-dunque… quant’è che non scrivo niente qui sopra? Diciamo un mesetto? Faccio i conti: due settimane di varicella-maledetta-lei che fatta (il dottore dice “contratta”. Dissento. Due settimane a letto? Contratta un ca22o!!!) alla mia età non è la tradizionale e proverbiale passeggiata di salute + una settimana passata a ingrassare in Irlanda al Rory Gallagher International Tribute Festival + una settimana di giramento di palle ed ecco fatto = Un mese. Novità? Boh, si e no. Niente di rivoluzionario, anche se preferisco parlare solo ed esclusivamente quando ho notizie certe, sicure. Diciamo che, in un modo o nell’altro tornerò a occuparmi di videogiochi un po’ più da vicino grazie a gamesushi. Cercatevelo in rete se vi va, che oggi è venerdì e mi girano le palle.
Per quanto riguarda la band, siamo finalmente in vista dei primi concerti. Abbiamo risolto il problema del nome (almeno temporaneamente), ma non sono certissimo che tutto il resto sia andato a posto. Il giudizio sulle nostre prestazioni, plausibilmente, dipenderà da quanta birra ci scoliamo io e il Davo prima di salire sul palco. E anche dopo. Vedremo di registrare le date. Considerando che nei rispettivi giorni seguenti ho due bei run da fare con il Varese Chapter, Ticino e Portofino, converrà andarci cauti con la birra.
Oddio, conviene sempre andarci cauti specialmente quando si è a dieta e specialmente quando si è già fatta una bella "cura di bellezza" all' irlandese con carne, patate e guinness a litrate… Marò, che poeta. Sul giro nel Donegal, i concerti, le fatine irlandesi, la guinness, la rissa che ho rischiato di scatenare in un pub (colpa del Davo che mi faceva gli scherzi dell’asilo), la poca pioggia, il verde e le lacrime che mi nascono spontanee ogni volta che torno nell’isola di smeraldo (siamo a quota 7/8, non mi ricordo bene) sto scrivendo qualche riga a bocce ferme, come faccio sempre, lasciando che idee/ricordi/suggestioni tornino su come il brasato. Continuo ad avere una voglia esagerata di saltare in sella alla mia bambina e macinare chilometri, ma le ultime settimane sono state impegnatissime (guarire, lavorare, ingrassare, incazzarsi) e l’ho accesa poco. Giustamente adesso piove.

mercoledì 9 maggio 2007

COME SI CANTA IL BLUES

di Lame Mango Washington
(attribuito a Memphis Earlene Gray con la collaborazione di Uncle Plunky, revisioni a cura di Little Blind Patti D. & Dr. Stevie Franklin, trad. e adattamento di Capitan Costina)


1. la maggior parte dei Blues cominciano con "Woke up this morning." (mi sono svegliato stamattina)

2. "I got a good woman" (ho una brava donna) è una maniera sbagliata per cominciare un blues, a meno che non si pareggi la situazione immediatamente attaccando qualcosa di brutto nel verso successivo tipo "I got a good woman, with the meanest face in town." (ho una brava donna con la peggior faccia che si possa trovare in città).

3. Il Blues è semplice. se sei riuscito a beccare il primo verso e a renderlo efficace, ripetilo. Poi cerca qualcosa che faccia rima, qualcosa del tipo: "Got a good woman - with the meanest face in town. Got teeth like Margaret Thatcher - and she weigh 500 pound." (ho una brava donna con la peggior faccia che si possa trovare in città. ha i denti come quelli di Margaret Thatcher e pesa 500 pound - ok, in italiano non fa rima, ma il blues in italiano non esiste. e nessuno si azzardi a dire che zucchero fa blues).

4. il Blues non ha a che fare con la possibilità di scegliere. sei dentro a un cavolo di fosso, un maledetto buco oscuro, piantato nel terreno e non c'è via d'uscita, ochei?

5. Automobili Blues: Chevy, Cadillac e furgoni americani da rottamare a vista. Il Blues non viaggia a bordo di Volvo, BMW o SUV. i veicoli più blues di tutti sono i bus Greyhound o i treni dei pendolari. nemmeno gli aerei sono blues, a meno che non cadano con il bluesman a bordo e lui non sopravviva. camminare un sacco, invece, fa poderosamente parte del "blues lifestyle". come ubriacarsi fino alla morte. Moto: Indian o Harley.

6. i Teenager NON possono cantare il Blues. semplicemente perchè non hanno ancora cominciato a ubriacarsi fino alla morte. gli adulti cantano il Blues. nel Blues, "essere adulti" significa essere abbastanza grandi per essere condannati alla sedia elettrica se spari a qualcuno giù a Memphis.

7. il Blues può essere ambientato a New York City ma non alle Hawaii o in qualsiasi zona del Canada. problemi a Minneapolis-St. Paul o Tucson rappresentano una semplice depressione. Chicago, St. Louis e Kansas City sono i posti migliori per farsi venire il Blues. infatti, non puoi avere il Blues in un posto dove non piove. quindi varese va benissimo.

8. un uomo con la classica pelata da ragioniere non è blues. una donna con lo stesso problema si. così come romperti una gamba sciando non è blues e farlo perchè un alligatore ha cercato di staccartela lo è.

9. non puoi sentirti Blues in un ufficio o in un centro commerciale. è un problema di luce. troppa. il bagno dell'ufficio può essere blues, specialmente a fine giornata, così come il posteggio del centro commerciale dopo l'orario di chiusura.

10. ottimi posti per trovare il Blues:
a. autostrada
b. prigione
c. letto vuoto
d. alla fine di un bicchiere di whisky
11. posti sbagliati dove non lo troverai mai:
a. ashram in india
b. inaugurazioni di mostre d'arte contemporanea
c. feste universitarie
d. campi da golf

12. nessuno crederà mai che hai addosso il Blues se porti un bel completo con tanto di cravatta, a meno che tu non abbia più di 60 anni, sia negro e soprattutto sembri chiaro che, nel tuo bel completo, è una settimana che ci dormi dentro

13. hai il diritto di cantare il blues?
Si, se:
a. ti ricordi l'avvento dell'elettricità
b. sei cieco
c. hai sparato a qualcuno giù a Memphis
d. non riesci a trovare la pace ("can't be satisfied, oh yeah")

No, se:
a. hai ancora tutti i denti
b. eri cieco ma grazie a un'operazione sofisticatissima ora ci vedi

c. l'uomo di Memphis è sopravvissuto

d. hai una pensione integrativa

14. cantare il Blues non ha a che vedere con il colore della pelle. è una questione di semplice sfiga.
Tiger Woods non può cantare il blues.
Gary Coleman (Arnold) potrebbe.
Johnny Winter (alcolizzato, tossico e albino) può.

15. Se chiedi un bicchiere d'acqua e la tua "baby" ti serve una pinta di benzina, quello è Blues.
Altre bevande Blues accettabili sono:
a. vino
b. whiskey o bourbon
c. acqua fangosa (muddy water)
d. caffè nero

le seguenti NON SONO bevande Blues:
a. long drink e cocktail con frutta e ombrellini
b. vino kosher
c. snapple, gatorade, red bull, burn e gli energy drink in generale
d. acqua gassata a meno che non sia usata per smacchiare il sangue di quello cui hai sparato giù a Memphis

16. quelle in motel pulciosi o baracche di lamiera sono morti Blues.
accoltellato alla schiena da un'amante gelosa è un'altra maniera blues di morire.
condannato alla sedia elettrica per aver sparato a uno giù a Memphis, abuso di sostanze tossiche o abbandonato in un vicolo dentro una scatola di cartone sono morti molto blues.

NON si muore Blues per un infarto durante una partita di tennis o per complicazioni successive a un'operazione di liposuzione.

17. nomi Blues per donne:
a. Sadie
b. Big Mama
c. Bessie
d. Fat River Dumpling

18. nomi Blues per uomini:
a. Joe
b. Willie
c. Little Willie
d. Big Willie

19. persone con nomi tipo Sierra, Sequoia, Auburn, Rainbow, Gianmarco o Selvaggia non possono cantare il Blues, non importa a quanti uomini abbiano sparato giù a Memphis.

19. Componi il tuo nome Blues (starter kit):

a. definizione di una menomazione fisica (Blind, Cripple, Lame, etc.)
b. primo nome (vedi sopra) più il nome di un frutto (Lemon, Lime, Kiwi,etc.)
c. cognome di un presidente americano (Jefferson, Johnson, Fillmore, etc.)

Esempio: Blind Lime Jefferson, o Cripple Kiwi Fillmore, etc. (Ok, forse non "Kiwi"...)

20. Non è importante quanto tragica sia stata la tua vita: possiedi un computer e lo sai usare (apparentemente), quindi non puoi cantare il blues.
meglio se lo distruggi.
Adesso.
Puoi usare: il fuoco, versarci sopra una bottiglia di Wild Turkey o sparargli addosso.

non è importante.

Se ti stai domandando perchè io posso cantare blues, visto che ho postato questo pezzo con un computer su una rete basata su computer e tu proprio non puoi, sappi che ho prima di usare il computer ho imparato a cantare blues.

Basta là.

venerdì 20 aprile 2007

Dal corriere.it

Dal corriere.it e dal forum di Beppe Severgnini (tra i miei giornalisti preferiti) copio, incollo e sottoscrivo.

Caro Beppe,
ascolto Radiodue e sento della sparatoria in Virginia. La sera il Tg2 dice: ?4altro massacro e l'America si interroga». Accendo la tv: Cnn, Fox News ... mi pare che l'America si stia interrogando sulla questione sbagliata. Si scomodano fior fiore di criminologi, si fanno paragoni con gli episodi del passato, ma la domanda è sempre la stessa e sempre quella sbagliata: «Perché quel tizio ha sparato?». In ore e ore di dirette tv, nessuno che si pone la domanda giusta: perché questo tipo aveva in mano due armi semiautomatiche? Lo sanno tutti il perché: è la lobby delle armi. Ma pare che questa semplice e assurda verità sia assolutamente impenetrabile. Virginia Tech verrà dimenticata come Columbine, e rispunterà al prossimo inevitabile episodio con la solita domanda sbagliata.

Rita

Cara Rita, abbiamo ascoltato tutti tante parole, nelle ultime ore. Cercherò perciò di essere breve e chiaro. Il mio parere - lo dico subito - è simile al tuo. 
Facciamo un passo indietro. I film ammazza-ammazza sono nauseanti, e hanno veramente stufato. I videogiochi violenti sono forse pericolosi, per una mente malata. I ragazzi disperati e turbati mettono angoscia, e sono capaci di tutto. Ma di film ammazza-ammazza, di videogiochi violenti e di gente in preda a ossessioni e raptus è pieno il mondo. Le stragi nelle scuole, però, sono una drammatica specialità americana (credo che siamo arrivati a settanta, senza contare lo stillicidio di giovani morti ammazzati quotidiamente). In cosa l'America è diversa da ogni altro Paese? Nella diffusione e nella facilità d'acquisto delle armi da fuoco. La National Rifle Association (Nra) dice: non sono le armi che uccidono, sono gli uomini. Vero, ma è un sofisma. Senza armi da fuoco un pazzo in preda a raptus uccide una persona, forse due; non trentadue. Tu dici che in America non accadrà nulla. Non ne sono certo: stavolta è davvero grossa. Il pericolo, oltretutto, è che succedano episodi «copycat»: imitatori suggestionati potrebbero tentare di ripetere l'impresa (ne hanno parlato, i networks americani). Credo che qualche candidato alla presidenza avrà il coraggio - e la convenienza - di parlar chiaro sull'argomento (cosa possa fare, è un altro discorso). Michael Moore spesso è irritante, ma su questa faccenda ha ragione: meno armi, meno morti. Punto. I campus americani - come molti di voi sanno - sono posti magnifici, accoglienti e tranquilli. I ragazzi, in quel grande liceo che è il college Usa, sono seguiti, assistiti, consigliati. Evitiamo la sociologia spicciola: se quel giovane asiatico impazzito non avesse potuto mettere le mani su quelle armi automatiche, non saremmo qui a parlare di una strage. Non accade a Varese, Vienna, Vancouver, Valencia: accade in Virginia, luogo civilissimo. Perché? 
Ho troppa stima degli americani: non posso credere che gireranno la testa dall'altra parte, e rifiuteranno di rispondere a una domanda tanto semplice.

lunedì 16 aprile 2007

Ecco...

LONDRA (Reuters) - I nomi, le età e le professioni degli sventurati passeggeri del Titanic sono finiti su Internet per la prima volta, 25 anni dopo la tragedia che vide la nave affondare nell'oceano. Decine di pagine con annotazioni scritte a mano dai passeggeri sono ora disponibili gratuitamente sul sito findmypast.com, rivelando i sogni di tanti emigranti che nel 1912 speravano di crearsi una nuova vita in America, partendo da Southampton. La nave "White Star", giudicata "inaffondabile", lasciò il porto il 10 aprile, per inabissarsi dopo aver colpito un iceberg, portando alla morte 1.523 persone. Tra i passeggeri vi era ad esempio George Mackay, un macellaio scozzese di 20 anni, che viaggiava in terza classe. La contessa di Rothes era invece imbarcata in prima classe, con il cugino Gladys Cherry e la sua cameriera personale Roberta Maioni. Per loro la sorte fu benevola: furono tratti in salvo dalla nave Carpathia.

giovedì 12 aprile 2007

Ma non era una stronzata?

Con estremo ritardo, causato principalmente dal disinteresse, verifico che una mia proposta vecchia di circa 4 anni, quando ancora abitavo a Fantasylandia, è stata approvata e si trova online da un po’.

Curioso, perché proprio quello è stato il primo progetto che ho presentato e ai tempi venne etichettato come “leggero, poco incisivo, praticamente una stronzata”.

Certo, solo gli idioti non cambiano idea e (per carità!) non si dica che ho vissuto tra gli idioti.

Tra i “furbetti”, però, si e l’ho sempre saputo.

Tengo a sottolineare, per la tranquillità di chi si è appropriato di una delle MIE idee (ma sono certissimo che anche le altre prima o poi salteranno fuori…), che non è coperta da diritto d’autore.

Come al solito, la classe non è acqua e chi non ne ha non perde occasione per dimostrarlo.

Maledetti giapponesi!

Qualche tempo fa, su questo blog, mi sono espresso in maniera piuttosto critica (o meglio, preoccupata) sul futuro delle console next-gen. Le premesse, e la mancanza di informazioni, non mi permettevano di fare altro, ma ora, a qualche settimana dal lancio di Ps3, mi sento di dire che avevo toppato alla grande. Oltre 50.000 macchine vendute in Italia (and counting) rappresentano un ottimo esordio in previsione di quello che sarà a breve. Certamente, chi sta immerso “nel settore” dalla mattina alla sera e manca della fondamentale possibilità di confrontarsi con una realtà esterna alla propria gestione del budget mensile, non si aspettava niente di meno di quanto è avvenuto, ma i dati sui consumi provenienti da Enti nazionali di riconosciuta affidabilità (come l’Istat) non lasciavano molto spazio a previsioni particolarmente ottimistiche, con la spesa pro capite in calo e l’inflazione in crescita…

Invece, una console da 599 euro giochi esclusi, vende, e pure bene. Perché mai? Le risposte sono diverse. La prima riguarda il target cui si rivolge la macchina che non è più, come ha specificato il nuovo responsabile marketing di Scei, quello degli hard core gamers. Ora l’obiettivo è quello dei professionisti alto-spendenti che desiderano essere al passo con la tecnologia e si vogliono dotare di un vero media center completo, dal design cool e dalle ampie potenzialità funzionali. La seconda, legata alla prima, vede centrale la fruizione di contenuti multimediali in alta definizione su schermi di grande diagonale (da più parti danno già per spacciato il formato Hd-Dvd sostenuto da Microsoft) dotandosi di un buon lettore Blue-ray multifunzione, com’è in effetti la Ps3, mentre quelli “ufficiali” costano ancora cifre comprese tra i 700 e i 1000 euro. La terza, solo subordinata a queste due, comprende i titoli a disposizione che, per quanto vari e sufficientemente numerosi, non hanno logicamente ancora sprigionato l’intero potenziale della macchina.

Malgrado questo, la mia sensazione è che almeno in Italia siano stati proprio gli hard core gamers a comperare la console. Non so perché, ma ho l’impressione che il vero drive sia arrivato dal solito, caro, vecchio zoccolo duro del mercato piuttosto che da nuove fasce di consumatori attirate dal “trend phenom” che bisogna seguire a tutti i costi. Sarà anche un caso, ma pare proprio che le performance migliori si siano registrate nel canale specializzato (quello dove si riforniscono gli appassionati) piuttosto che nel generalista dove comunque c’è movimento. E mentre la grande distribuzione nicchia ancora sul formato ed espone pochi lineari di titoli in Blue-ray, evita come la peste i lettori per i film in alta definizione, ma spinge i televisori Hd-Ready (strategia misteriosa, vista la carenza di programmi in Hd e la scarsità di abbonati al satellite che li irradia…), PlayStation 3 si mangia la 360 a colazione.
Per il botto vero, però, credo che ci sia da aspettare ancora qualche mese e per la precisione la cosiddetta brutta stagione quando, tradizionalmente, la console sarà riposizionata e giungeranno sugli scaffali i giochi di calcio. Allora si che se ne vedranno delle belle. Allora si che Microsoft, con la sua risibile mossa di “contenimento” (lancio di una versione Elite della 360 con hard disk da 120Gb ma PRIVA di lettore Hd-Dvd) avrà il rudest awakening of all...

Anche perché, non è cosa da sottovalutare, su Xbox Live come sospiri ti tocca pagare, mentre su Playstation Network hai un bel po’ di opportunità completamente gratuite in più, senza contare la possibilità di navigare in InFernet standotene sdraiato sul divano…

C’ho già la Visa che vibra… e il senso di colpa che cresce.

mercoledì 4 aprile 2007

Un po' di citazioni musicali...

“La cosa più strana che ho sniffato? Le ceneri di mio padre, mescolate con la cocaina. E’ andato giù bene...”
Keith Richards


“I don't have a drinking problem ‘cept when I can't get a drink”
Tom Waits

“Blues is easy to play, but hard to feel”.
Jimi Hendrix

“I listen to music for emotion and I get zero emotion from rap”.
Seb Bach

“The only Maybelline I knew was the name of a cow”.
Chuck Berry

“A kiss that is never tasted, is forever and ever wasted”.
Billy Holliday

“Old men do it better. We're not so sensitive in certain areas”.
Robert Plant

“I've never had a problem with drugs. I've had problems with the police”.
Keith Richards

Ps
FaRtweb non mi ha ancora allacciato.
Li odio.

lunedì 2 aprile 2007

Maledetti fàstuébbari

ANCORA orfano della linea telefonica e internautica nella nuova casa, posto questo piccolo motto di saggezza dal mio bianchissimo Mac redazionale.

"Troppo spesso perdiamo di vista i semplici piaceri della vita.
Ricordatevi che quando qualcuno vi rompe le palle, se aggrottate la fronte, utilizzate la bellezza di 42 muscoli facciali
MENTRE ve ne occorrono solo 4 per estendere il braccio e dare una bella legnata in testa allo scassapalle".

mercoledì 21 marzo 2007

Un post che non c'entra niente...

Infatti non appartiene a nessuna categoria...

In attesa di essere nuovamente connesso a InFernet, posto dopo dalla redazione qualche giorno di assenza e festeggio il 3°dan nella misteriosa arte marziale del trasloco. 3 traslochi in 12 mesi rolling… un bel record. Del menga. Adesso basta per un po’. Forse…

martedì 13 marzo 2007

23-20

Cosa scrivere sul pomeriggio di sabato senza essere banali? Francamente non lo so, anche se la mia vena polemica pulsa violentemente. La notizia vera non è che abbiamo battuto il Galles, squadra a cui quest’anno non glie ne va bene mezza. La notizia vera è che giochiamo ad alto livello da diversi anni, solo che ora riusciamo a rimediare agli errori, a non perdere la calma nei momenti difficili e, soprattutto, a segnare. Punto. Quello che mi fa innervosire è che tutti i giornalisti pallonari (gente che i.m.h.o. e con pochissime eccezioni rappresenta lammerda della professione che ho scelto) si tuffino a bomba sul rugby e pretendano di raccontare al mondo quanto sia bello, quanti valori abbiain serbo e, soprattutto, quante lezioni possa dare al calcio. Il tutto, logicamente, senza capire una mazza di rugby, senza conoscerne i protagonisti e le regole. Vorrei ricordare a queste teste piene solo dell’aria dei palloni che se il rugby ha goduto, fino a qui, di poca visibilità è stata anche colpa loro, troppo impegnati a beccare le briciole che cadono dal tavolo del calcio, a sgomitare per una cazzo di trasferta al seguito di una squadra di calcio o a elemosinare il sorriso di un presidente importante mentre facevano gli arroganti con chi non contava niente. Vorrei ricordare a queste teste piene solo dell’aria dei palloni che hanno mostrato gli stessi entusiasmi, negli ultimi vent’anni e in ordine sparso, per il basket, la vela, il volley, il canottaggio, il nuoto, l’hockey, lo sci, di nuovo il basket e ancora il volley quindi ciclismo, motociclismo e forse mi sono dimenticato qualcosa. Vorrei ricordare a queste teste piene solo dell’aria dei palloni che il rugby non è diventato bello quest’anno e nemmeno la scorsa settimana, lo è sempre stato ed è sempre funzionato in questo modo. Fortunatamente c’è il commentatore di La7 che ne sa qualcosa e Pierre Villepreux che non va nemmeno presentato per quanto grande è stato. Unico appunto la presenza dell’insopportabile pallonaro imbucato, giustamente confinato in curva a raccogliere gli umori del pre e del dopo partita. Allora: che i giornalisti pallonari (morti Barenson, Beppe Viola, Gianni Brera e Paolo Valenti) siano tra gli esseri umani più ignoranti presenti su questo piano dimensionale ci può anche stare, tanto si rivolgono a un pubblicobbestia come loro. Ma se mandi un pallonaro a intervistare degli stranieri, assicurati che conosca la lingua e sappia tradurre adeguatamente (e perché no, televisivamente) un bellissimo concetto come “abbiamo perso, ci sono mancate le palle e la volontà, voi avete giocato bene e avete meritato di vincere, bella partita e meravigliosa giornata di rugby”. Il pallonaro, ovviamente, ha capito solo “good game” e quello ha tradotto.
Ultima nota: durante le partite del Sei Nazioni s’è visto un bel po’ di sangue, nasi schiacciati e sopracciglia tumefatte, aperte e "sprizzanti". Per non parlare degli infortuni che hanno lasciato a casa un buon numero di rugbisti italiani. Dubito che tra i pallonari, stavolta intesi come atleti, ci sia qualcuno che coglierà l’occasione per smetterla di rotolarsi a terra dopo un fallo come se fosse stato preso a badilate sulle tibie, salvo riprendere a zampettare regolarmente dopo qualche secondo per tranquillizzare lo sponsor.

Visto che questo post ha come etichetta Games, devo parlare anche di videgiochi: Electronic Arts produce anche giochi di rugby. In effetti uno solo. Ma non vale perchè EA fa anche giochi di cricket. Tanto per dire.

Ps
Parlo bene del rugby perché lo conosco, perché ho avuto la fortuna di vederlo dal vivo ad alto livello fin dall’86 (prima proprio in Scozia, in Inghilterra e Irlanda poi). Parlo bene del rugby perchè l’ho giocato per tre anni alle medie (insieme al basket). Parlo bene del rugby perché certe cose te le insegnano e altre le capisci da solo. Ad esempio, se fai parte del pacchetto di mischia e non ti metti lo scotch sulle orecchie, a volte te le portano via.

300!!!

“Before this battle is over the world will know that few stood against many”

Molto probabilmente sarà uno dei classici filmoni, fico-fico-pieno-zeppo-di-effetti-speciali, cui è stato abbinato un (ahimé) tristo videogioco di Eidos, purtroppo non in grado di ricreare l’epica, la maestosità e lo straordinario impatto cinematografico che caratterizzerà il film.

Il motivo? Dimenticando per un secondo (ma solo per un secondo) la pochezza tecnica del prodottino, va sottolineato che la piattaforma scelta per la versione videoludica di 300 è stata la Psp, un po’ come se avessero montare il propulsore di un F16 su una Suzuki Maruti del ’97.

Potenzialmente, migliaia di Hp a disposizione (il film, la sceneggiatura, gli attori, eccetera) ma inutilizzabili concretamente per via della Maruti (una console poco potente con uno schermo piccino)…

Tornando al film, tra le particolarità della pellicola c’è quella di essere la prima realizzata per essere proiettata in Imax (acronimo di Image Maximum) un sistema di proiezione in grado di garantire standard di risoluzione e audio mai visti fino ad ora, oltre alle impressionanti dimensioni degli schermi: 22metri x 16!!! - così il confronto con i pochi centimetri dell'Lcd di Psp è ancora più stridente -

In Italia esistono due sole sale predisposte per la proiezione in Imax (a Riccione e a Castellaneta Marina), sarebbe da verificare quando 300 esce da quelle parti e organizzare un viaggetto a Riccione, magari in moto.

O forse no… vista la zona, non ho molta voglia di fare la fine del birillo e mescolarmi tutte le ossa.

giovedì 8 marzo 2007

C'è una moto che...

Carlo Talamo (r.i.p.) è, per un certo tipo di motociclista, il responsabile della nascita di una passione. Importatore di H-D, Buell, Triumph e in seguito anche di Rolls e Bentley, Carlo ha rappresentato molto per la scena biker italiana fungendo tanto da catalizzatore quanto da parafulmine. Anticonformista, personaggio in tutto e per tutto, Talamo ha anche scritto delle poesie, logicamente dedicate alle sue moto. Mi permetto di riportanre una che, come tante, è priva di titolo.


C'è una motocicletta che se ne frega delle mode.
E dagli altri non ha copiato niente.

E' in giro da cent'anni.

Ma non è cambiata cento volte.

Ha due cilindri e un carburatore.

E poche valvole e pochi pezzi.

Per restare una motocicletta.

Per durare nel tempo.

C'è un motore che vibra e vive.

Che è vero. 

Che non divide nulla con la tecnologia spaziale.

C'è ancora qualcuno che misura la leggenda in secoli.

E non in secondi.

C'è un sistema di essere felici a 30 all'ora.

C'è un modo di andare in motocicletta senza sfidare il mondo intero.

Ci sono spazi che vale la pena ancora di vedere al rallentatore.

Senza record casello-casello.

Senza duecentosettantaallora. 

Senza spaccare una gomma in mille chilometri.

C'è una motocicletta che non batterà limiti di accelerazione.

Che ha sconfitto tutti gli attacchi.

Una motocicletta tanto imitata.

Che è rimasta se stessa.

Che ha superato le mode.

Andando per la sua strada con dignità.

Una motocicletta che può girare senza il nome sul serbatoio.

E senza essere scambiata con qualcun altro.

Sono ancora in giro per il mondo e per l'Italia, quelle belle motociclette semplici, sane, robuste.

Figlie del cuore, non del computer.

Quelle motociclette alle quali voglio bene.


Carlo Talamo (1952-2002)

mercoledì 7 marzo 2007

Memorie di un esordiente totale

Non so quanti ricordano, ancora oggi, il loro primo giorno di scuola. Io ricordo distintamente l’inizio all’università, il primo giorno delle superiori, delle medie e persino quello delle elementari. Non è che me lo imponga coscientemente, semplicemente succede, come se ogni nuovo inizio importante aprisse un raccoglitore virtuale nel mio cervello e registrasse tutto quello che accade. Stranamente questa cosa non capita con gli eventi del venerdì o del sabato sera che mi appaiono, spesso, ricoperti da una patina fosca che sfuma i contorni e attutisce i rumori, un po’ come fa la nebbia. Da domenica sera, invece, il settore dei “primi giorni di scuola” ne contiene un altro, fresco,
intenso, ricco di emozioni e chilometri. Da matricola quale sono, motociclistica in termini generali e di chapter in particolare, ho sentito l’esigenza (pungolata garbatamente dal Capo del Chapter Varese) di trasformare in parola le sensazioni di una giornata importante, una decina d’ore che, ne sono certo, ricorderò per molto tempo a venire. Nessuna pretesa di raccontare come sono andate le cose, se è stato un buon giro o no, se il percorso era facile/difficile/medio o altro ancora, non ho la competenza né il “chilometraggio” per farlo, ma semplicemente il desiderio di condividere quello che ho vissuto in prima persona.

Wake up
Domenica mattina, presto. Sveglia dopo un sabato sera mediamente impegnativo. Eclissi di luna e concerto (blues). Ottimo: niente mal di testa da carenza di sonno e, soprattutto, da consumo vivace di birra. E’ che sono un godurioso, non ci posso fare niente. Giusto un velo di rimbambimento che, penso, sarà spazzato via definitivamente dall’accensione della mia Harley, cosa che puntualmente succede. Aspetto questa giornata da qualche settimana e mi chiedo come sarà. Ho anche dato un’occhiata su Internet e ho capito in fretta che lo Zio Lalo è una meta che accomuna molti motociclisti. Su un paio di forum ho letto anche vaghi accenni all’ultima parte della salita, ma non me ne sono preoccupato poi molto: forse avrei dovuto farlo, se non altro per prepararmi mentalmente...

Meeting point
L’effetto “matricola” è accresciuto dallo zainetto che mi porto sulle spalle, abbastanza fuori luogo ma utile e necessario, almeno fino all’arrivo di una borsa vera. Mi sento un po’come il prototipo del primino, penso che mi manchi solo il lecca-lecca, quello grosso con la decorazione a spirale, e una tartaruga ninja appiccicata da qualche parte. Il posteggio del Tala nel frattempo si riempie di Harley, belle, lucide e… rumorose, tanto che la mia Sporster sembra un po’ “giù di voce” rispetto a quello che sento attorno a me. Siamo tanti, mi guardo attorno e comincio a pensare, a prendere appunti mentali su cosa mi piacerebbe cambiare e su come farlo, su modifiche e cromature, mentre le raccomandazioni di Daniele, del Raffy e degli altri ragazzi conosciuti alle riunioni del giovedì tornano in mente: “lassa stà! Non spenderci troppo sullo Sporster, che presto ti verrà voglia di qualcosa di più grosso”. Per ora mi sembra una gran bella idea fare qualche aggiustamento estetico alla mia moto... al momento non lo so ancora, ma entro sera avrò imparato una lezione importante (la prima) che mi farà rivedere le priorità. Nel frattempo ci si rilassa, si fuma qualche sigaretta e ci si saluta mentre il Capo Tala rifinisce i dettagli, Aurelione distribuisce i giubbini a security officer e staffette e il Raffy fa l’appello.

Partenza!
Poi succede: si parte, ed è un brivido immediato, dopo le prime due curve, vedere il chapter schierato al semaforo. Ci si muove fluidi, una massa compatta che passa le rotonde dell’Iper davanti agli automobilisti in coda, ai ciclisti della domenica, a qualche stradale solitario diretto al suo punto di ritrovo succhiando il manubrio. Subito ci si fa inghiottire dalla galleria della tangenziale di Varese. Un attimo, solo poche centinaia di metri ma fenomenali, almeno per me. Immagino che tutti gli harleysti ci siano ormai abituati, ma posso garantire che ascoltando quel suono che rotola sulle pareti curve del tunnel mi viene la pelle d’oca. Sorrido e mi rendo conto di essere parte di un gruppo, annuso l’aria e mi godo questo spettacolare inizio di giornata. C’è un bel sole e la temperatura è gradevole, ma l’aria è fresca e non si sentono ancora gli odori della primavera. Resto dietro, quasi in coda, con i rettilinei in salita che mi regalano la vista impressionante di un serpentone nero e arancio che si allunga e si accorcia a seconda dell’andatura. E’ così bello da vedere che vorrei fotografarlo, ma è il caso che mi preoccupi di guidare e tenere il passo, ci sarà sicuramente un momento e un luogo anche per le foto.

Stresa
I cartelli dei paesi si avvicendano. Sesto Calende, Castelletto Ticino, Arona. Sbuchiamo sul lungolago in direzione di Stresa. Il panorama è bellissimo e dal lago sale un po’ di vento, ma non c’è tempo per guardarsi troppo attorno, la strada invita ed è tempo di dare gas scaricando cavalli e tensioni. Qui comincio a capire che devo guidare un bel po’, imparare a stare in strada e guadagnare sicurezza per evitare di essere il freno della situazione. Fortunatamente il Capo Tala si prende la briga si farmi da angelo custode e durante tutta la giornata, tanto all’andata che al ritorno, in qualsiasi momento mi volto a destra o guardo negli specchietti, trovo la sua giacca arancione e il muso della sua Buell a rassicurarmi. Si fa tappa a Stresa, pochi minuti per sgranchire le gambe e bere un caffè, il tutto arricchito da un siparietto quasi comico con i posteggiatori che non riescono a mettersi d’accordo (tra loro) su dove dovremmo sistemare le moto. “Mettetevi qui, mettetevi là” e alla fine ci intruppiamo, senza molto entusiasmo, in un angolo del posteggio dei pullman, con la speranza che nessun autista sbagli manovra con il suo bestione. Ma è un attimo. Dopo poco, infatti si monta in sella di nuovo e si comincia a salire verso Omegna, lungo una strada che offre panorama, saliscendi e curve dolci che… riconfermano la mia mancanza d’esperienza quando c’è da girare la manetta anche in curva!

Si sale e…
L’alpe Quaggione (a quasi 1200 metri d’altezza) ci accoglie con un cartello che, da perfetto masochista quale sono, mi fermo a leggere per bene. Le ultime parole si fissano nel cranio come se me le avessero scalpellate dentro. “Strada senza sbarre, salite a vostro rischio”. Penso brevemente al fatto che soffro di vertigini in modo definitivo, insomma, basta un po’ d’altitudine e io mi cago addosso senza ritegno, ma adesso c’è da salire, vedremo dopo. Lo zio Lalo intanto è lì che “ruga” la polenta e ci aspetta. La vista dal piazzale della sua baita ripaga della fatica fatta per salire. Tornanti stretti, asfalto pieno di crepe, buchi e ghiaietto traditore vengono definitivamente dimenticati a tavola dove siedo di fianco a Paride. Il vichingo, che invece di viaggiare su un Drakkar cavalca un V-Rod, annuncia solennemente di essere a dieta. Meno male, perché il suo piatto non rimane vuoto un secondo e mi chiedo dove trovi il tempo per respirare! Brindisi, caffè, amari e grappini e si riaccendono i motori, pronti a tornare verso casa.

…si scende
Come ho detto, non soffro di vertigini in modo “normale”. Le altitudini mi paralizzano letteralmente tutti i movimenti, praticamente la situazione ideale per guidare una moto o qualsiasi mezzo di trasporto! Infatti ci metto una vita e, sempre scortato dal Tala, raggiungo la piazza di Omega per ultimo, un po’ scosso e decisamente stanco. La vista del chapter in attesa mi rincuora, anche se sono imbarazzato ed avrei una gran voglia di scusarmi con tutti per il ritardo. Si riparte sull’altra sponda del Verbano e dopo una sosta per riempire i serbatoi (mentre i balconi si riempiono di gente che continua a sorridere anche quando ripartiamo rombando, alla faccia di chi dice che le H-D fanno solo casino… forse perchè c’è modo e modo di fare rumore) ci rimettiamo in strada in direzione Borgomanero. Il traffico aumenta sensibilmente e staffette e safety hanno il loro bel daffare per bloccare qualche automobilista indisciplinato o semplicemente poco gentile. D’altra parte mi rendo conto che aspettare due-minuti-a-uno-Stop-la-domenica-pomeriggio-ore-diciassette deve essere veramente intollerabile… In effetti, da quando vado in moto, ho potuto verificare almeno un paio di volte la scarsa collaborazione degli automobilisti. Forse sono stati questi spaventi che mi hanno tolto un po’ di… peso dal polso, Chissà. Resta il fatto che andando in giro da soli non ci considerano mai.

Lesson ciù
Però mi accorgo che qui non sono mai solo. Oltre al Capo Tala, che è diventato la mia ombra, mi ritrovo preceduto da altri membri del chapter che a turno sembrano venire a “tirarmi la volata”. Come in Natura, il gruppo significa protezione, la compattezza inattaccabilità, l’organizzazione (concetto contrario a ogni declinazione dell’idea di libertà e quindi, in potenza, all’essenza stessa del biker) significa sicurezza. Durante questa giornata trascorsa in sella non sono mancati gli imprevisti, una caduta e una cinghia rotta per citare solo quelli che ho visto da vicino, ma ogni problema è stato affrontato e risolto proprio grazie al gruppo e all’organizzazione. E’ qui che imparo immediatamente la seconda lezione, Piero Angela sarebbe orgoglioso di me. Non che prima lo pensassi, ma ora ne sono certo: la patch sulla schiena non è uno status symbol da sfoggiare all’ora dell’aperitivo, “vale” molto di più e “pesa” molto di più. Amicizia, supporto, partecipazione, condivisione. Vedrò di guadagnarmela.

venerdì 2 marzo 2007

Buon weekend

"Ho deciso di essere felice perchè fa bene alla salute"
François-Marie Arouet aka Voltaire

Comunque una trentina d'anni fa Cochi e Renato cantavano:

"e lo sputtanamento, ole'
e lo sputtanamento, che cos'e'
forse voglia d'orinare
senza mai farsi capire
e la patta e' gia' slacciata
gia c'e' fuori il pendolone
fischia il vento nel calzone
ole' ole'
ole' ole'"

Fantastico.
Dalle Alpi alle piramidi, dal Manzanarre al Reno.
Olè, olè.

Buon weekend.

Ps
Gli stronzi, per quanto si lavino, puzzano sempre un po'.

giovedì 1 marzo 2007

Dichiarazione d’Amore verso un mito...

In attesa del mio primo run ufficiale, riprendo dal sito del Varese Chapter le belle parole scritte dal Raffy. Condivido al 1000% e aggiungo che anch'io, malgrado non abbia le pedane del passeggero, non viaggio mai solo.

< tempo di lettura meno di 5 min. >

"E’ un po’ datata, ma sempre estremamente attuale una frase riportata su patches e gadgets vari marchiati Bar ’n’ Shield: “If I’d to explain, you’d not understand”, se dovessi spiegarti, non capiresti… Frase semplice, diretta, proveniente, sine dubio, da mente forgiata nel crogiuolo della vita biker americana. Battuta banale, senza possibilità di replica dietro cui si celano emozioni, usi e costumi, comportamenti, ideali, desideri, valori e ambizioni che affondano antiche radici nel profondo di quella miscela di passioni e raziocinio qual è l’animo umano. Impresa ardua la mia; tentare di spiegare un concetto che esiste a prescindere dalla sua spiegazione: la “moto” va vissuta, non spiegata, semmai raccontata. D’accordo, ogni passione che si rispetti nasce da qualcosa che si ha dentro, coltivata e accresciuta dall’ambiente che si decide di frequentare, ma qui stiamo parlando di qualcosa che si spinge ben oltre a tutto ciò. Con tale affermazione non voglio sminuire tutte le altre passioni: ognuna di esse racchiude la nobiltà che rende la vita di un essere umano degna di essere vissuta (…piuttosto collezionate tappi di bottiglia, ma dedicateVi a qualcosa che vada al di là dei doveri che ci siamo imposti!!!). Qualcuno può obbiettare, asserendo che comunque qualsiasi tipo di due ruote dotata di sistema propulsivo possa regalare e garantire la libertà ed il piacere racchiuso in essa. Vero. E’ già tantissimo, ma per me, per Noi, non abbastanza. L’Harley® ti porta nella Storia, nella Leggenda e ti invita a farne parte. E’ la casa motociclistica più longeva, non ha mai cessato la sua attività: quest’anno Willie G. ha spento centotre candeline. Ha attraversato momenti cupi e si è sempre risollevata. E’ stata capace di adattarsi a qualsiasi epoca, cercando sempre di dialogare costantemente con la sua “base”. Ha capito quanto fosse importante per sé stessa e per il suo “popolo”, sviluppare il complesso sistema Uomo – Macchina: l’H.O.G.® è il club motociclistico ufficiale direttamente legato alla casa madre più numeroso al mondo. Chi compra un Harley® entra a far parte di una grande famiglia ove il senso di appartenenza e lo spirito di gruppo sono indissolubilmente legati a filo doppio, nero & arancione, all’esaltazione dell’Individuo e alla sua voglia di distinzione. Esagerato? Troppo entusiasta? Cercate una foto di qualche velocipede a motore dei Vostri bisnonni: ciò che Vi colpirà saranno pochi elementi. Pochi elementi essenziali: un motore, ben in vista, due ruote, un meccanismo per trasmetterne il moto ed un semplice telaio per tenere insieme il tutto. Osservate un Harley Davidson® di oggi: la tecnologia moderna ormai è entrata prepotentemente nel suo intimo, ma il sostantivo che forse le appartiene di più è essenzialità (anche se l’oggetto del Vostro rimirar fosse un’Ultra). Solo il motore così sfacciatamente in evidenza, può essere assimilato a scultura moderna. Ieri come oggi. Tornando alla foto, vicino a tale distillato, ci sarà sicuramente un tipo fornito di smagliante sorriso che va da un orecchio all’altro, che indossa probabilmente indumenti prestati da qualche parente dedito a qualche sport equino, riadattati alla bisogna. Erano i primi uomini a cimentarsi con qualcosa di unico, qualcosa che qualcuno aveva sognato e qualcun altro od il medesimo aveva tradotto in pratica. Erano pionieri. Pionieri come chi, qualche manciata di anni prima, nel bene e nel male, aveva attraversato l’America, dal Far East al Far West. E allora il pensiero segue immediatamente la direzione che ci porta a ricordare quanto sia fondamentale per l’Essere Umano ricercare, scoprire ed emozionarsi. Il ricordo vola verso quei pionieri, quegli esploratori, uomini con la mente persa nei sogni, uomini dalle forti ambizioni, alla continua ricerca di nuovi mondi, che siano, ieri, un’isoletta sperduta nell’Oceano, una nuova vetta da conquistare o che siano, oggi, nuovi pianeti e corpi celesti o antiche rovine di civiltà sepolte sotto km. di acqua salata. Un Harley Davidson® è impastata di Storia, di storia di Uomini e di Donne. E’ sintesi di anni di Kustom Culture americana; è permeata dalla polvere dei primi circuiti percorsi a manetta spalancata da splendide borghesi cruiser, trasformate in altrettanto magnifiche grezze e ruspanti racer, immolate sul sacro altare della bobberizzazione. Odora di Happy Days, di Gioventù Bruciata e di American Graffiti, di Hells Angels di quel sacramento di Sonny Barger e di tutti gli one percenters del pianeta. Trasuda visionaria e lisergica attitudine chopperistica dei tardi Sixties e dei controversi Seventies. E’ mistico viaggio che solca la Route 66, rimbalza come la pallina dei vecchi flippers tra le perversioni di William Burroughs e la sotterranea voglia di perdersi in malate storie di Jack Keroauc per ritrovare, infine, sé stessi sul ciglio di una statale con le mani sporche di grasso ed il sapore di crudo di Parma in bocca… E poi. E poi l’Harley® è compagna di vita. Ogni suono, ogni gesto che proviene da Lei e dal suo mondo ti fa passare la fastidiosa emicrania da stress causata dai vari rompicoglioni con cui hai a che fare tutti i santi giorni. E’ un dito medio piazzato in faccia a chi ti ricorda costantemente solo i tuoi doveri e i suoi diritti; è lo sguardo meravigliato dell’innocenza di un bambino che Vi guarda dal finestrino, lo sguardo eccitato di sua madre e lo sguardo invidioso di suo padre. E’ un calcio assestato nel basso ventre alla mediocrità di sciabattanti soprammobili che a trent’anni ne dimostrano settanta. La tua HD è sempre lì ad aspettarti ogni volta che la Vita è pronta a prenderti a calci in culo, ogni volta che un Amore finisce, ogni volta che qualcuno decide che qualcun altro deve partire per non tornare più, ogni volta che tu sei depresso od entusiasta, nervoso o serafico, ogni volta che ci sia da festeggiare un successo o che sia un momento da Fuck The World… Qualcuno avrà notato che ho sempre le pedane del passeggero abbassate, anche se viaggio solo. Mi piace pensare che le emozioni che vivo possano essere condivise anche da qualcuno che ha raggiunto dimensioni diverse dalla nostra; el me papà non ha mai pensato di conoscere e comprendere la motocicletta: spero che, lassù si sia ricreduto… No ragassuoli, non è una via di fuga. Fuggire non serve, tanto devi tornare. L’Harley è uno specchio. Lo specchio in cui rifletti te stesso, le tue emozioni, pronta a farsi plasmare e trasformare in mille e più modi diversi mantenendo comunque intatta la sua identità di Regina della Strada. Il Chapter è il luogo ove impari o affini, se già la possiedi, la capacità di aggredire un problema moltiplicandolo in più piccole frazioni, maggiormente “digeribili” e come ogni aggregazione umana è scuola di vita. Voltaire diceva:«Ho deciso di essere felice, perché fa bene alla salute». Percorrere la via verso la felicità su di un’Harley® ne amplifica il concetto. Cosa spinge una legione di Hoggers, di anno in anno sempre più nutrita e numerosa, a raggiungere la East Coast italiana in quel di Rimini, sede dell’HOG® Inverno, sfidando le insidiose armi del Generale Inverno, intabarrati come Esquimesi, goffi come orsi polari, impavidi, senza macchia, senza paura come moderni Cavalieri di Ventura, fuori dallo spazio, fuori dal tempo, dentro una magica e ovattata dimensione alla ricerca di sé stessi, quando “fuori piove un mondo freddo” ed “in giro c’è nessuno”? Se dovessi spiegarti… Come sempre: Be Proud and Be Happy. Orgogliosi di appartenere al Vostro Hog® Chapter. Felici di cavalcare l’unica motocicletta al mondo che abbia un’anima…"

venerdì 23 febbraio 2007

H-D Race to the Rally...


- An insult to Harley fans and racing-game aficionados, this game should be avoided at all costs.
- The Good: Courses are longer than you might think; bike models look accurate.
- The Bad: Courses are longer than you might think; one of the ugliest ps2 games of the year; frame rate is a jittery mess; uninspired track design, horrible physics; bad soundtrack, zero challenge, stupid ai, ridiculous combat, oh god, we've run out of room.- gamespot.com – Voto: 2,4 su 10 (madoooooò, mi sa uno dei voti più bassi di sempre…)

The actual act of riding the bike is an exercise in tedium, as boring, repetitive textures pass you by at a lazy clip, punctuated by a constantly skipping frame rate that looks more like stop-motion video than a game.

Race to the Rally's physics are insane, and that term is used here not to mean "sweet/rad/awesome" but rather "completely disconnected from reality."

Da appassionato harleysta, confesso che mi aspettavo qualcosa di più, anche in considerazione del fatto che il titolo viene pubblicato da Activision, ma a brand Value, il nuovo marchio che identifica titoli originali (e nuovi) commercializzati a prezzo budget.

Ora mi domando: se l’idea di realizzare un titolo valido non è venuta in mente ai signori di Activision, possibile che alla H-D, dove il marketing è re e la difesa del brand è una spada, a nessuno è passato per il cranio di dare una controllata a quello che stavano combinando gli sviluppatori?

Possibile che il concept di Road Rash (Electronic Arts 1991, mica pizza&fichi) non potesse essere aggiornato?

Possibile che si siano limitati a piazzare lì una bella serie di kit per migliorare le prestazioni o cambiare l’aspetto delle moto (belline, per carità) senza lavorare sulla tecnica di programmazione nuda e cruda?

Persino il mediocre American Chopper ha ramazzato voti migliori ed è approdato (addirittura) al secondo capitolo…

Ok, queste considerazioni nascono da quello che pubblica gamespot, fonte abbastanza affidabile, e aspetto con ansia di provare il prodottino anche se ammetto tristemente che non lo attendo più con la medesima impazienza…

mercoledì 21 febbraio 2007

Guglielmo Cancelli è Sauron


Secondo un’agenzia di stamattina, Bill Gates avrebbe imposto alla figlia di 10 anni (in accordo con la moglie Melinda- no-non-è-quella-della-Val-di-Non) un limite per l’utilizzo di Internet: 45 minuti al giorno, con una deroga di 15 minuti nel weekend.

Dunquedunque, fammi capire.

Prima ci inchioda mani&piedi alle tastiere, riesce a condizionare l’intero pianeta con i suoi software che, lo sanno i sassi, non sono certo i migliori in circolazione e poi cosa faaaa?

Vieta alla sua piccola di gironzare su Internet per più i 45 minuti al dì. Mi sembra tanto quello che inventa la telemerda e poi manda i figli alla scuola steineriana dove non glie la fanno vedere… però la telemerda, se vuoi-puoi-sai, la puoi evitare, internet no.

A meno che non ti occupi di rimboschimento, costruzioni o più semplicemente lavori con le mani e basta (perché appena si richiede un pezzo di cervello ecco che spunta fuori il Pc, Internet e le maledette email) ci sei proprio legato a ‘sta tecnologia.

Ora se uno inventa una cosa e poi la vieta ai suoi cari, secondo me, sotto-sotto (ma neanche poi tanto sotto) la fregatura c’è.