venerdì 6 luglio 2007

Deliri

Su Eldastyle c’è un po’ di simpatica maretta, mi pare, in relazione alle valutazioni dei giochi storici. Se non ho capito male, la cosa nasce per via di una presunta (e abbastanza concreta) sudditanza nei confronti della stampa estera. In effetti penso che il riferirsi a quello che scrivono gli altri - .com o .uk che siano – per farsi un’opinione, è parte del cazzuto (inteso come “appartenente alla sfera del” e non “forte, dotato di carattere”) complesso d’inferiorità di cui soffre il popolo italiano tutto. Abituati fin da piccoli, quasi istruiti direi, a pensare che siamo genericamente “meno bravi” degli altri, pere della Bellucci e prosopopea calcistica a parte, sviluppiamo una certa insicurezza che ci porta ad aver bisogno di conferme. Fondamentalmente, cerchiamo qualcuno che ci rassicuri e che ci dica che quello che pensiamo/facciamo non sono stronzate tout-cour. Solo allora ci sentiamo autorizzati a trarre le nostre conclusioni. A volte persino a diventare creativi. Ma dove sta scritto che l’opinione di Pinko McLittleball è più autorevole di quella che può sviluppare, autonomamente, un ipotetico e italianissimo Gianeugenio Frustralupi? (ogni riferimento a Gianeugenii Frustalupi realmente esistenti è da considerarsi puramente casuale). Forse nel fatturato della casa editrice? Forse è ora di smetterla con gli atteggiamenti da supereroi che, come carbonari nella solitudine della loro stanzetta, cercano illuminazioni in quello che scrive Gonzalo Frasca o Jeff Gerstmann per poi fare a chi piscia più lontano coi compagnucci di presstour. Tutto questo però mi fa venire in mente qualcosa in più. Nel corso degli ultimi anni, anche in virtù degli tsunami editoriali che hanno investito il settore rimescolando carte e persone, le cose sono cambiate e gli atteggiamenti provinciali da Guerra delle Rose (Lancaster/York, Inghilterra 1455-1487) di cui spesso è stata vittima la stampa di settore italiana, si sono stemperati. Sfugge ancora, però, la “pig picture” dell’industria di cui facciamo parte. Fino a quando i giornalisti videoludici saranno percepiti come quelli che scrivono le pagine che “altri” vendono e fino a quando non si riconosceranno, per primi, una maggiore professionalità, gli “altri” non lo faranno di certo. Lo so, c’è la fila fuori da ogni redazione per un posticino, non dico da redattore, ma da collaboratore esterno, e questo gli editori lo sanno benissimo. Ora scrivo, come diceva la Litizzetto, “una bella cazzata”: incontriamoci, parliamo del nostro lavoro, confrontiamoci sui problemi che abbiamo, organizziamo dei seminari di informazione sulle leggi che ci tutelano, riuniamoci in un’Associazione che ci rappresenti (in effetti c’è già e basterebbe iscriversi, date un occhio qui: http://www.gsaitalia.org/), diamo un’immagine della stampa specializzata che appaia e sia realmente diversa, più forte. Diversamente da così, saremo importanti solo per via delle testate sulle quali scriviamo e continueremo ad essere, sostanzialmente, intercambiabili.

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