mercoledì 7 marzo 2007

Memorie di un esordiente totale

Non so quanti ricordano, ancora oggi, il loro primo giorno di scuola. Io ricordo distintamente l’inizio all’università, il primo giorno delle superiori, delle medie e persino quello delle elementari. Non è che me lo imponga coscientemente, semplicemente succede, come se ogni nuovo inizio importante aprisse un raccoglitore virtuale nel mio cervello e registrasse tutto quello che accade. Stranamente questa cosa non capita con gli eventi del venerdì o del sabato sera che mi appaiono, spesso, ricoperti da una patina fosca che sfuma i contorni e attutisce i rumori, un po’ come fa la nebbia. Da domenica sera, invece, il settore dei “primi giorni di scuola” ne contiene un altro, fresco,
intenso, ricco di emozioni e chilometri. Da matricola quale sono, motociclistica in termini generali e di chapter in particolare, ho sentito l’esigenza (pungolata garbatamente dal Capo del Chapter Varese) di trasformare in parola le sensazioni di una giornata importante, una decina d’ore che, ne sono certo, ricorderò per molto tempo a venire. Nessuna pretesa di raccontare come sono andate le cose, se è stato un buon giro o no, se il percorso era facile/difficile/medio o altro ancora, non ho la competenza né il “chilometraggio” per farlo, ma semplicemente il desiderio di condividere quello che ho vissuto in prima persona.

Wake up
Domenica mattina, presto. Sveglia dopo un sabato sera mediamente impegnativo. Eclissi di luna e concerto (blues). Ottimo: niente mal di testa da carenza di sonno e, soprattutto, da consumo vivace di birra. E’ che sono un godurioso, non ci posso fare niente. Giusto un velo di rimbambimento che, penso, sarà spazzato via definitivamente dall’accensione della mia Harley, cosa che puntualmente succede. Aspetto questa giornata da qualche settimana e mi chiedo come sarà. Ho anche dato un’occhiata su Internet e ho capito in fretta che lo Zio Lalo è una meta che accomuna molti motociclisti. Su un paio di forum ho letto anche vaghi accenni all’ultima parte della salita, ma non me ne sono preoccupato poi molto: forse avrei dovuto farlo, se non altro per prepararmi mentalmente...

Meeting point
L’effetto “matricola” è accresciuto dallo zainetto che mi porto sulle spalle, abbastanza fuori luogo ma utile e necessario, almeno fino all’arrivo di una borsa vera. Mi sento un po’come il prototipo del primino, penso che mi manchi solo il lecca-lecca, quello grosso con la decorazione a spirale, e una tartaruga ninja appiccicata da qualche parte. Il posteggio del Tala nel frattempo si riempie di Harley, belle, lucide e… rumorose, tanto che la mia Sporster sembra un po’ “giù di voce” rispetto a quello che sento attorno a me. Siamo tanti, mi guardo attorno e comincio a pensare, a prendere appunti mentali su cosa mi piacerebbe cambiare e su come farlo, su modifiche e cromature, mentre le raccomandazioni di Daniele, del Raffy e degli altri ragazzi conosciuti alle riunioni del giovedì tornano in mente: “lassa stà! Non spenderci troppo sullo Sporster, che presto ti verrà voglia di qualcosa di più grosso”. Per ora mi sembra una gran bella idea fare qualche aggiustamento estetico alla mia moto... al momento non lo so ancora, ma entro sera avrò imparato una lezione importante (la prima) che mi farà rivedere le priorità. Nel frattempo ci si rilassa, si fuma qualche sigaretta e ci si saluta mentre il Capo Tala rifinisce i dettagli, Aurelione distribuisce i giubbini a security officer e staffette e il Raffy fa l’appello.

Partenza!
Poi succede: si parte, ed è un brivido immediato, dopo le prime due curve, vedere il chapter schierato al semaforo. Ci si muove fluidi, una massa compatta che passa le rotonde dell’Iper davanti agli automobilisti in coda, ai ciclisti della domenica, a qualche stradale solitario diretto al suo punto di ritrovo succhiando il manubrio. Subito ci si fa inghiottire dalla galleria della tangenziale di Varese. Un attimo, solo poche centinaia di metri ma fenomenali, almeno per me. Immagino che tutti gli harleysti ci siano ormai abituati, ma posso garantire che ascoltando quel suono che rotola sulle pareti curve del tunnel mi viene la pelle d’oca. Sorrido e mi rendo conto di essere parte di un gruppo, annuso l’aria e mi godo questo spettacolare inizio di giornata. C’è un bel sole e la temperatura è gradevole, ma l’aria è fresca e non si sentono ancora gli odori della primavera. Resto dietro, quasi in coda, con i rettilinei in salita che mi regalano la vista impressionante di un serpentone nero e arancio che si allunga e si accorcia a seconda dell’andatura. E’ così bello da vedere che vorrei fotografarlo, ma è il caso che mi preoccupi di guidare e tenere il passo, ci sarà sicuramente un momento e un luogo anche per le foto.

Stresa
I cartelli dei paesi si avvicendano. Sesto Calende, Castelletto Ticino, Arona. Sbuchiamo sul lungolago in direzione di Stresa. Il panorama è bellissimo e dal lago sale un po’ di vento, ma non c’è tempo per guardarsi troppo attorno, la strada invita ed è tempo di dare gas scaricando cavalli e tensioni. Qui comincio a capire che devo guidare un bel po’, imparare a stare in strada e guadagnare sicurezza per evitare di essere il freno della situazione. Fortunatamente il Capo Tala si prende la briga si farmi da angelo custode e durante tutta la giornata, tanto all’andata che al ritorno, in qualsiasi momento mi volto a destra o guardo negli specchietti, trovo la sua giacca arancione e il muso della sua Buell a rassicurarmi. Si fa tappa a Stresa, pochi minuti per sgranchire le gambe e bere un caffè, il tutto arricchito da un siparietto quasi comico con i posteggiatori che non riescono a mettersi d’accordo (tra loro) su dove dovremmo sistemare le moto. “Mettetevi qui, mettetevi là” e alla fine ci intruppiamo, senza molto entusiasmo, in un angolo del posteggio dei pullman, con la speranza che nessun autista sbagli manovra con il suo bestione. Ma è un attimo. Dopo poco, infatti si monta in sella di nuovo e si comincia a salire verso Omegna, lungo una strada che offre panorama, saliscendi e curve dolci che… riconfermano la mia mancanza d’esperienza quando c’è da girare la manetta anche in curva!

Si sale e…
L’alpe Quaggione (a quasi 1200 metri d’altezza) ci accoglie con un cartello che, da perfetto masochista quale sono, mi fermo a leggere per bene. Le ultime parole si fissano nel cranio come se me le avessero scalpellate dentro. “Strada senza sbarre, salite a vostro rischio”. Penso brevemente al fatto che soffro di vertigini in modo definitivo, insomma, basta un po’ d’altitudine e io mi cago addosso senza ritegno, ma adesso c’è da salire, vedremo dopo. Lo zio Lalo intanto è lì che “ruga” la polenta e ci aspetta. La vista dal piazzale della sua baita ripaga della fatica fatta per salire. Tornanti stretti, asfalto pieno di crepe, buchi e ghiaietto traditore vengono definitivamente dimenticati a tavola dove siedo di fianco a Paride. Il vichingo, che invece di viaggiare su un Drakkar cavalca un V-Rod, annuncia solennemente di essere a dieta. Meno male, perché il suo piatto non rimane vuoto un secondo e mi chiedo dove trovi il tempo per respirare! Brindisi, caffè, amari e grappini e si riaccendono i motori, pronti a tornare verso casa.

…si scende
Come ho detto, non soffro di vertigini in modo “normale”. Le altitudini mi paralizzano letteralmente tutti i movimenti, praticamente la situazione ideale per guidare una moto o qualsiasi mezzo di trasporto! Infatti ci metto una vita e, sempre scortato dal Tala, raggiungo la piazza di Omega per ultimo, un po’ scosso e decisamente stanco. La vista del chapter in attesa mi rincuora, anche se sono imbarazzato ed avrei una gran voglia di scusarmi con tutti per il ritardo. Si riparte sull’altra sponda del Verbano e dopo una sosta per riempire i serbatoi (mentre i balconi si riempiono di gente che continua a sorridere anche quando ripartiamo rombando, alla faccia di chi dice che le H-D fanno solo casino… forse perchè c’è modo e modo di fare rumore) ci rimettiamo in strada in direzione Borgomanero. Il traffico aumenta sensibilmente e staffette e safety hanno il loro bel daffare per bloccare qualche automobilista indisciplinato o semplicemente poco gentile. D’altra parte mi rendo conto che aspettare due-minuti-a-uno-Stop-la-domenica-pomeriggio-ore-diciassette deve essere veramente intollerabile… In effetti, da quando vado in moto, ho potuto verificare almeno un paio di volte la scarsa collaborazione degli automobilisti. Forse sono stati questi spaventi che mi hanno tolto un po’ di… peso dal polso, Chissà. Resta il fatto che andando in giro da soli non ci considerano mai.

Lesson ciù
Però mi accorgo che qui non sono mai solo. Oltre al Capo Tala, che è diventato la mia ombra, mi ritrovo preceduto da altri membri del chapter che a turno sembrano venire a “tirarmi la volata”. Come in Natura, il gruppo significa protezione, la compattezza inattaccabilità, l’organizzazione (concetto contrario a ogni declinazione dell’idea di libertà e quindi, in potenza, all’essenza stessa del biker) significa sicurezza. Durante questa giornata trascorsa in sella non sono mancati gli imprevisti, una caduta e una cinghia rotta per citare solo quelli che ho visto da vicino, ma ogni problema è stato affrontato e risolto proprio grazie al gruppo e all’organizzazione. E’ qui che imparo immediatamente la seconda lezione, Piero Angela sarebbe orgoglioso di me. Non che prima lo pensassi, ma ora ne sono certo: la patch sulla schiena non è uno status symbol da sfoggiare all’ora dell’aperitivo, “vale” molto di più e “pesa” molto di più. Amicizia, supporto, partecipazione, condivisione. Vedrò di guadagnarmela.

1 commento:

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