mercoledì 21 marzo 2007

Un post che non c'entra niente...

Infatti non appartiene a nessuna categoria...

In attesa di essere nuovamente connesso a InFernet, posto dopo dalla redazione qualche giorno di assenza e festeggio il 3°dan nella misteriosa arte marziale del trasloco. 3 traslochi in 12 mesi rolling… un bel record. Del menga. Adesso basta per un po’. Forse…

martedì 13 marzo 2007

23-20

Cosa scrivere sul pomeriggio di sabato senza essere banali? Francamente non lo so, anche se la mia vena polemica pulsa violentemente. La notizia vera non è che abbiamo battuto il Galles, squadra a cui quest’anno non glie ne va bene mezza. La notizia vera è che giochiamo ad alto livello da diversi anni, solo che ora riusciamo a rimediare agli errori, a non perdere la calma nei momenti difficili e, soprattutto, a segnare. Punto. Quello che mi fa innervosire è che tutti i giornalisti pallonari (gente che i.m.h.o. e con pochissime eccezioni rappresenta lammerda della professione che ho scelto) si tuffino a bomba sul rugby e pretendano di raccontare al mondo quanto sia bello, quanti valori abbiain serbo e, soprattutto, quante lezioni possa dare al calcio. Il tutto, logicamente, senza capire una mazza di rugby, senza conoscerne i protagonisti e le regole. Vorrei ricordare a queste teste piene solo dell’aria dei palloni che se il rugby ha goduto, fino a qui, di poca visibilità è stata anche colpa loro, troppo impegnati a beccare le briciole che cadono dal tavolo del calcio, a sgomitare per una cazzo di trasferta al seguito di una squadra di calcio o a elemosinare il sorriso di un presidente importante mentre facevano gli arroganti con chi non contava niente. Vorrei ricordare a queste teste piene solo dell’aria dei palloni che hanno mostrato gli stessi entusiasmi, negli ultimi vent’anni e in ordine sparso, per il basket, la vela, il volley, il canottaggio, il nuoto, l’hockey, lo sci, di nuovo il basket e ancora il volley quindi ciclismo, motociclismo e forse mi sono dimenticato qualcosa. Vorrei ricordare a queste teste piene solo dell’aria dei palloni che il rugby non è diventato bello quest’anno e nemmeno la scorsa settimana, lo è sempre stato ed è sempre funzionato in questo modo. Fortunatamente c’è il commentatore di La7 che ne sa qualcosa e Pierre Villepreux che non va nemmeno presentato per quanto grande è stato. Unico appunto la presenza dell’insopportabile pallonaro imbucato, giustamente confinato in curva a raccogliere gli umori del pre e del dopo partita. Allora: che i giornalisti pallonari (morti Barenson, Beppe Viola, Gianni Brera e Paolo Valenti) siano tra gli esseri umani più ignoranti presenti su questo piano dimensionale ci può anche stare, tanto si rivolgono a un pubblicobbestia come loro. Ma se mandi un pallonaro a intervistare degli stranieri, assicurati che conosca la lingua e sappia tradurre adeguatamente (e perché no, televisivamente) un bellissimo concetto come “abbiamo perso, ci sono mancate le palle e la volontà, voi avete giocato bene e avete meritato di vincere, bella partita e meravigliosa giornata di rugby”. Il pallonaro, ovviamente, ha capito solo “good game” e quello ha tradotto.
Ultima nota: durante le partite del Sei Nazioni s’è visto un bel po’ di sangue, nasi schiacciati e sopracciglia tumefatte, aperte e "sprizzanti". Per non parlare degli infortuni che hanno lasciato a casa un buon numero di rugbisti italiani. Dubito che tra i pallonari, stavolta intesi come atleti, ci sia qualcuno che coglierà l’occasione per smetterla di rotolarsi a terra dopo un fallo come se fosse stato preso a badilate sulle tibie, salvo riprendere a zampettare regolarmente dopo qualche secondo per tranquillizzare lo sponsor.

Visto che questo post ha come etichetta Games, devo parlare anche di videgiochi: Electronic Arts produce anche giochi di rugby. In effetti uno solo. Ma non vale perchè EA fa anche giochi di cricket. Tanto per dire.

Ps
Parlo bene del rugby perché lo conosco, perché ho avuto la fortuna di vederlo dal vivo ad alto livello fin dall’86 (prima proprio in Scozia, in Inghilterra e Irlanda poi). Parlo bene del rugby perchè l’ho giocato per tre anni alle medie (insieme al basket). Parlo bene del rugby perché certe cose te le insegnano e altre le capisci da solo. Ad esempio, se fai parte del pacchetto di mischia e non ti metti lo scotch sulle orecchie, a volte te le portano via.

300!!!

“Before this battle is over the world will know that few stood against many”

Molto probabilmente sarà uno dei classici filmoni, fico-fico-pieno-zeppo-di-effetti-speciali, cui è stato abbinato un (ahimé) tristo videogioco di Eidos, purtroppo non in grado di ricreare l’epica, la maestosità e lo straordinario impatto cinematografico che caratterizzerà il film.

Il motivo? Dimenticando per un secondo (ma solo per un secondo) la pochezza tecnica del prodottino, va sottolineato che la piattaforma scelta per la versione videoludica di 300 è stata la Psp, un po’ come se avessero montare il propulsore di un F16 su una Suzuki Maruti del ’97.

Potenzialmente, migliaia di Hp a disposizione (il film, la sceneggiatura, gli attori, eccetera) ma inutilizzabili concretamente per via della Maruti (una console poco potente con uno schermo piccino)…

Tornando al film, tra le particolarità della pellicola c’è quella di essere la prima realizzata per essere proiettata in Imax (acronimo di Image Maximum) un sistema di proiezione in grado di garantire standard di risoluzione e audio mai visti fino ad ora, oltre alle impressionanti dimensioni degli schermi: 22metri x 16!!! - così il confronto con i pochi centimetri dell'Lcd di Psp è ancora più stridente -

In Italia esistono due sole sale predisposte per la proiezione in Imax (a Riccione e a Castellaneta Marina), sarebbe da verificare quando 300 esce da quelle parti e organizzare un viaggetto a Riccione, magari in moto.

O forse no… vista la zona, non ho molta voglia di fare la fine del birillo e mescolarmi tutte le ossa.

giovedì 8 marzo 2007

C'è una moto che...

Carlo Talamo (r.i.p.) è, per un certo tipo di motociclista, il responsabile della nascita di una passione. Importatore di H-D, Buell, Triumph e in seguito anche di Rolls e Bentley, Carlo ha rappresentato molto per la scena biker italiana fungendo tanto da catalizzatore quanto da parafulmine. Anticonformista, personaggio in tutto e per tutto, Talamo ha anche scritto delle poesie, logicamente dedicate alle sue moto. Mi permetto di riportanre una che, come tante, è priva di titolo.


C'è una motocicletta che se ne frega delle mode.
E dagli altri non ha copiato niente.

E' in giro da cent'anni.

Ma non è cambiata cento volte.

Ha due cilindri e un carburatore.

E poche valvole e pochi pezzi.

Per restare una motocicletta.

Per durare nel tempo.

C'è un motore che vibra e vive.

Che è vero. 

Che non divide nulla con la tecnologia spaziale.

C'è ancora qualcuno che misura la leggenda in secoli.

E non in secondi.

C'è un sistema di essere felici a 30 all'ora.

C'è un modo di andare in motocicletta senza sfidare il mondo intero.

Ci sono spazi che vale la pena ancora di vedere al rallentatore.

Senza record casello-casello.

Senza duecentosettantaallora. 

Senza spaccare una gomma in mille chilometri.

C'è una motocicletta che non batterà limiti di accelerazione.

Che ha sconfitto tutti gli attacchi.

Una motocicletta tanto imitata.

Che è rimasta se stessa.

Che ha superato le mode.

Andando per la sua strada con dignità.

Una motocicletta che può girare senza il nome sul serbatoio.

E senza essere scambiata con qualcun altro.

Sono ancora in giro per il mondo e per l'Italia, quelle belle motociclette semplici, sane, robuste.

Figlie del cuore, non del computer.

Quelle motociclette alle quali voglio bene.


Carlo Talamo (1952-2002)

mercoledì 7 marzo 2007

Memorie di un esordiente totale

Non so quanti ricordano, ancora oggi, il loro primo giorno di scuola. Io ricordo distintamente l’inizio all’università, il primo giorno delle superiori, delle medie e persino quello delle elementari. Non è che me lo imponga coscientemente, semplicemente succede, come se ogni nuovo inizio importante aprisse un raccoglitore virtuale nel mio cervello e registrasse tutto quello che accade. Stranamente questa cosa non capita con gli eventi del venerdì o del sabato sera che mi appaiono, spesso, ricoperti da una patina fosca che sfuma i contorni e attutisce i rumori, un po’ come fa la nebbia. Da domenica sera, invece, il settore dei “primi giorni di scuola” ne contiene un altro, fresco,
intenso, ricco di emozioni e chilometri. Da matricola quale sono, motociclistica in termini generali e di chapter in particolare, ho sentito l’esigenza (pungolata garbatamente dal Capo del Chapter Varese) di trasformare in parola le sensazioni di una giornata importante, una decina d’ore che, ne sono certo, ricorderò per molto tempo a venire. Nessuna pretesa di raccontare come sono andate le cose, se è stato un buon giro o no, se il percorso era facile/difficile/medio o altro ancora, non ho la competenza né il “chilometraggio” per farlo, ma semplicemente il desiderio di condividere quello che ho vissuto in prima persona.

Wake up
Domenica mattina, presto. Sveglia dopo un sabato sera mediamente impegnativo. Eclissi di luna e concerto (blues). Ottimo: niente mal di testa da carenza di sonno e, soprattutto, da consumo vivace di birra. E’ che sono un godurioso, non ci posso fare niente. Giusto un velo di rimbambimento che, penso, sarà spazzato via definitivamente dall’accensione della mia Harley, cosa che puntualmente succede. Aspetto questa giornata da qualche settimana e mi chiedo come sarà. Ho anche dato un’occhiata su Internet e ho capito in fretta che lo Zio Lalo è una meta che accomuna molti motociclisti. Su un paio di forum ho letto anche vaghi accenni all’ultima parte della salita, ma non me ne sono preoccupato poi molto: forse avrei dovuto farlo, se non altro per prepararmi mentalmente...

Meeting point
L’effetto “matricola” è accresciuto dallo zainetto che mi porto sulle spalle, abbastanza fuori luogo ma utile e necessario, almeno fino all’arrivo di una borsa vera. Mi sento un po’come il prototipo del primino, penso che mi manchi solo il lecca-lecca, quello grosso con la decorazione a spirale, e una tartaruga ninja appiccicata da qualche parte. Il posteggio del Tala nel frattempo si riempie di Harley, belle, lucide e… rumorose, tanto che la mia Sporster sembra un po’ “giù di voce” rispetto a quello che sento attorno a me. Siamo tanti, mi guardo attorno e comincio a pensare, a prendere appunti mentali su cosa mi piacerebbe cambiare e su come farlo, su modifiche e cromature, mentre le raccomandazioni di Daniele, del Raffy e degli altri ragazzi conosciuti alle riunioni del giovedì tornano in mente: “lassa stà! Non spenderci troppo sullo Sporster, che presto ti verrà voglia di qualcosa di più grosso”. Per ora mi sembra una gran bella idea fare qualche aggiustamento estetico alla mia moto... al momento non lo so ancora, ma entro sera avrò imparato una lezione importante (la prima) che mi farà rivedere le priorità. Nel frattempo ci si rilassa, si fuma qualche sigaretta e ci si saluta mentre il Capo Tala rifinisce i dettagli, Aurelione distribuisce i giubbini a security officer e staffette e il Raffy fa l’appello.

Partenza!
Poi succede: si parte, ed è un brivido immediato, dopo le prime due curve, vedere il chapter schierato al semaforo. Ci si muove fluidi, una massa compatta che passa le rotonde dell’Iper davanti agli automobilisti in coda, ai ciclisti della domenica, a qualche stradale solitario diretto al suo punto di ritrovo succhiando il manubrio. Subito ci si fa inghiottire dalla galleria della tangenziale di Varese. Un attimo, solo poche centinaia di metri ma fenomenali, almeno per me. Immagino che tutti gli harleysti ci siano ormai abituati, ma posso garantire che ascoltando quel suono che rotola sulle pareti curve del tunnel mi viene la pelle d’oca. Sorrido e mi rendo conto di essere parte di un gruppo, annuso l’aria e mi godo questo spettacolare inizio di giornata. C’è un bel sole e la temperatura è gradevole, ma l’aria è fresca e non si sentono ancora gli odori della primavera. Resto dietro, quasi in coda, con i rettilinei in salita che mi regalano la vista impressionante di un serpentone nero e arancio che si allunga e si accorcia a seconda dell’andatura. E’ così bello da vedere che vorrei fotografarlo, ma è il caso che mi preoccupi di guidare e tenere il passo, ci sarà sicuramente un momento e un luogo anche per le foto.

Stresa
I cartelli dei paesi si avvicendano. Sesto Calende, Castelletto Ticino, Arona. Sbuchiamo sul lungolago in direzione di Stresa. Il panorama è bellissimo e dal lago sale un po’ di vento, ma non c’è tempo per guardarsi troppo attorno, la strada invita ed è tempo di dare gas scaricando cavalli e tensioni. Qui comincio a capire che devo guidare un bel po’, imparare a stare in strada e guadagnare sicurezza per evitare di essere il freno della situazione. Fortunatamente il Capo Tala si prende la briga si farmi da angelo custode e durante tutta la giornata, tanto all’andata che al ritorno, in qualsiasi momento mi volto a destra o guardo negli specchietti, trovo la sua giacca arancione e il muso della sua Buell a rassicurarmi. Si fa tappa a Stresa, pochi minuti per sgranchire le gambe e bere un caffè, il tutto arricchito da un siparietto quasi comico con i posteggiatori che non riescono a mettersi d’accordo (tra loro) su dove dovremmo sistemare le moto. “Mettetevi qui, mettetevi là” e alla fine ci intruppiamo, senza molto entusiasmo, in un angolo del posteggio dei pullman, con la speranza che nessun autista sbagli manovra con il suo bestione. Ma è un attimo. Dopo poco, infatti si monta in sella di nuovo e si comincia a salire verso Omegna, lungo una strada che offre panorama, saliscendi e curve dolci che… riconfermano la mia mancanza d’esperienza quando c’è da girare la manetta anche in curva!

Si sale e…
L’alpe Quaggione (a quasi 1200 metri d’altezza) ci accoglie con un cartello che, da perfetto masochista quale sono, mi fermo a leggere per bene. Le ultime parole si fissano nel cranio come se me le avessero scalpellate dentro. “Strada senza sbarre, salite a vostro rischio”. Penso brevemente al fatto che soffro di vertigini in modo definitivo, insomma, basta un po’ d’altitudine e io mi cago addosso senza ritegno, ma adesso c’è da salire, vedremo dopo. Lo zio Lalo intanto è lì che “ruga” la polenta e ci aspetta. La vista dal piazzale della sua baita ripaga della fatica fatta per salire. Tornanti stretti, asfalto pieno di crepe, buchi e ghiaietto traditore vengono definitivamente dimenticati a tavola dove siedo di fianco a Paride. Il vichingo, che invece di viaggiare su un Drakkar cavalca un V-Rod, annuncia solennemente di essere a dieta. Meno male, perché il suo piatto non rimane vuoto un secondo e mi chiedo dove trovi il tempo per respirare! Brindisi, caffè, amari e grappini e si riaccendono i motori, pronti a tornare verso casa.

…si scende
Come ho detto, non soffro di vertigini in modo “normale”. Le altitudini mi paralizzano letteralmente tutti i movimenti, praticamente la situazione ideale per guidare una moto o qualsiasi mezzo di trasporto! Infatti ci metto una vita e, sempre scortato dal Tala, raggiungo la piazza di Omega per ultimo, un po’ scosso e decisamente stanco. La vista del chapter in attesa mi rincuora, anche se sono imbarazzato ed avrei una gran voglia di scusarmi con tutti per il ritardo. Si riparte sull’altra sponda del Verbano e dopo una sosta per riempire i serbatoi (mentre i balconi si riempiono di gente che continua a sorridere anche quando ripartiamo rombando, alla faccia di chi dice che le H-D fanno solo casino… forse perchè c’è modo e modo di fare rumore) ci rimettiamo in strada in direzione Borgomanero. Il traffico aumenta sensibilmente e staffette e safety hanno il loro bel daffare per bloccare qualche automobilista indisciplinato o semplicemente poco gentile. D’altra parte mi rendo conto che aspettare due-minuti-a-uno-Stop-la-domenica-pomeriggio-ore-diciassette deve essere veramente intollerabile… In effetti, da quando vado in moto, ho potuto verificare almeno un paio di volte la scarsa collaborazione degli automobilisti. Forse sono stati questi spaventi che mi hanno tolto un po’ di… peso dal polso, Chissà. Resta il fatto che andando in giro da soli non ci considerano mai.

Lesson ciù
Però mi accorgo che qui non sono mai solo. Oltre al Capo Tala, che è diventato la mia ombra, mi ritrovo preceduto da altri membri del chapter che a turno sembrano venire a “tirarmi la volata”. Come in Natura, il gruppo significa protezione, la compattezza inattaccabilità, l’organizzazione (concetto contrario a ogni declinazione dell’idea di libertà e quindi, in potenza, all’essenza stessa del biker) significa sicurezza. Durante questa giornata trascorsa in sella non sono mancati gli imprevisti, una caduta e una cinghia rotta per citare solo quelli che ho visto da vicino, ma ogni problema è stato affrontato e risolto proprio grazie al gruppo e all’organizzazione. E’ qui che imparo immediatamente la seconda lezione, Piero Angela sarebbe orgoglioso di me. Non che prima lo pensassi, ma ora ne sono certo: la patch sulla schiena non è uno status symbol da sfoggiare all’ora dell’aperitivo, “vale” molto di più e “pesa” molto di più. Amicizia, supporto, partecipazione, condivisione. Vedrò di guadagnarmela.

venerdì 2 marzo 2007

Buon weekend

"Ho deciso di essere felice perchè fa bene alla salute"
François-Marie Arouet aka Voltaire

Comunque una trentina d'anni fa Cochi e Renato cantavano:

"e lo sputtanamento, ole'
e lo sputtanamento, che cos'e'
forse voglia d'orinare
senza mai farsi capire
e la patta e' gia' slacciata
gia c'e' fuori il pendolone
fischia il vento nel calzone
ole' ole'
ole' ole'"

Fantastico.
Dalle Alpi alle piramidi, dal Manzanarre al Reno.
Olè, olè.

Buon weekend.

Ps
Gli stronzi, per quanto si lavino, puzzano sempre un po'.

giovedì 1 marzo 2007

Dichiarazione d’Amore verso un mito...

In attesa del mio primo run ufficiale, riprendo dal sito del Varese Chapter le belle parole scritte dal Raffy. Condivido al 1000% e aggiungo che anch'io, malgrado non abbia le pedane del passeggero, non viaggio mai solo.

< tempo di lettura meno di 5 min. >

"E’ un po’ datata, ma sempre estremamente attuale una frase riportata su patches e gadgets vari marchiati Bar ’n’ Shield: “If I’d to explain, you’d not understand”, se dovessi spiegarti, non capiresti… Frase semplice, diretta, proveniente, sine dubio, da mente forgiata nel crogiuolo della vita biker americana. Battuta banale, senza possibilità di replica dietro cui si celano emozioni, usi e costumi, comportamenti, ideali, desideri, valori e ambizioni che affondano antiche radici nel profondo di quella miscela di passioni e raziocinio qual è l’animo umano. Impresa ardua la mia; tentare di spiegare un concetto che esiste a prescindere dalla sua spiegazione: la “moto” va vissuta, non spiegata, semmai raccontata. D’accordo, ogni passione che si rispetti nasce da qualcosa che si ha dentro, coltivata e accresciuta dall’ambiente che si decide di frequentare, ma qui stiamo parlando di qualcosa che si spinge ben oltre a tutto ciò. Con tale affermazione non voglio sminuire tutte le altre passioni: ognuna di esse racchiude la nobiltà che rende la vita di un essere umano degna di essere vissuta (…piuttosto collezionate tappi di bottiglia, ma dedicateVi a qualcosa che vada al di là dei doveri che ci siamo imposti!!!). Qualcuno può obbiettare, asserendo che comunque qualsiasi tipo di due ruote dotata di sistema propulsivo possa regalare e garantire la libertà ed il piacere racchiuso in essa. Vero. E’ già tantissimo, ma per me, per Noi, non abbastanza. L’Harley® ti porta nella Storia, nella Leggenda e ti invita a farne parte. E’ la casa motociclistica più longeva, non ha mai cessato la sua attività: quest’anno Willie G. ha spento centotre candeline. Ha attraversato momenti cupi e si è sempre risollevata. E’ stata capace di adattarsi a qualsiasi epoca, cercando sempre di dialogare costantemente con la sua “base”. Ha capito quanto fosse importante per sé stessa e per il suo “popolo”, sviluppare il complesso sistema Uomo – Macchina: l’H.O.G.® è il club motociclistico ufficiale direttamente legato alla casa madre più numeroso al mondo. Chi compra un Harley® entra a far parte di una grande famiglia ove il senso di appartenenza e lo spirito di gruppo sono indissolubilmente legati a filo doppio, nero & arancione, all’esaltazione dell’Individuo e alla sua voglia di distinzione. Esagerato? Troppo entusiasta? Cercate una foto di qualche velocipede a motore dei Vostri bisnonni: ciò che Vi colpirà saranno pochi elementi. Pochi elementi essenziali: un motore, ben in vista, due ruote, un meccanismo per trasmetterne il moto ed un semplice telaio per tenere insieme il tutto. Osservate un Harley Davidson® di oggi: la tecnologia moderna ormai è entrata prepotentemente nel suo intimo, ma il sostantivo che forse le appartiene di più è essenzialità (anche se l’oggetto del Vostro rimirar fosse un’Ultra). Solo il motore così sfacciatamente in evidenza, può essere assimilato a scultura moderna. Ieri come oggi. Tornando alla foto, vicino a tale distillato, ci sarà sicuramente un tipo fornito di smagliante sorriso che va da un orecchio all’altro, che indossa probabilmente indumenti prestati da qualche parente dedito a qualche sport equino, riadattati alla bisogna. Erano i primi uomini a cimentarsi con qualcosa di unico, qualcosa che qualcuno aveva sognato e qualcun altro od il medesimo aveva tradotto in pratica. Erano pionieri. Pionieri come chi, qualche manciata di anni prima, nel bene e nel male, aveva attraversato l’America, dal Far East al Far West. E allora il pensiero segue immediatamente la direzione che ci porta a ricordare quanto sia fondamentale per l’Essere Umano ricercare, scoprire ed emozionarsi. Il ricordo vola verso quei pionieri, quegli esploratori, uomini con la mente persa nei sogni, uomini dalle forti ambizioni, alla continua ricerca di nuovi mondi, che siano, ieri, un’isoletta sperduta nell’Oceano, una nuova vetta da conquistare o che siano, oggi, nuovi pianeti e corpi celesti o antiche rovine di civiltà sepolte sotto km. di acqua salata. Un Harley Davidson® è impastata di Storia, di storia di Uomini e di Donne. E’ sintesi di anni di Kustom Culture americana; è permeata dalla polvere dei primi circuiti percorsi a manetta spalancata da splendide borghesi cruiser, trasformate in altrettanto magnifiche grezze e ruspanti racer, immolate sul sacro altare della bobberizzazione. Odora di Happy Days, di Gioventù Bruciata e di American Graffiti, di Hells Angels di quel sacramento di Sonny Barger e di tutti gli one percenters del pianeta. Trasuda visionaria e lisergica attitudine chopperistica dei tardi Sixties e dei controversi Seventies. E’ mistico viaggio che solca la Route 66, rimbalza come la pallina dei vecchi flippers tra le perversioni di William Burroughs e la sotterranea voglia di perdersi in malate storie di Jack Keroauc per ritrovare, infine, sé stessi sul ciglio di una statale con le mani sporche di grasso ed il sapore di crudo di Parma in bocca… E poi. E poi l’Harley® è compagna di vita. Ogni suono, ogni gesto che proviene da Lei e dal suo mondo ti fa passare la fastidiosa emicrania da stress causata dai vari rompicoglioni con cui hai a che fare tutti i santi giorni. E’ un dito medio piazzato in faccia a chi ti ricorda costantemente solo i tuoi doveri e i suoi diritti; è lo sguardo meravigliato dell’innocenza di un bambino che Vi guarda dal finestrino, lo sguardo eccitato di sua madre e lo sguardo invidioso di suo padre. E’ un calcio assestato nel basso ventre alla mediocrità di sciabattanti soprammobili che a trent’anni ne dimostrano settanta. La tua HD è sempre lì ad aspettarti ogni volta che la Vita è pronta a prenderti a calci in culo, ogni volta che un Amore finisce, ogni volta che qualcuno decide che qualcun altro deve partire per non tornare più, ogni volta che tu sei depresso od entusiasta, nervoso o serafico, ogni volta che ci sia da festeggiare un successo o che sia un momento da Fuck The World… Qualcuno avrà notato che ho sempre le pedane del passeggero abbassate, anche se viaggio solo. Mi piace pensare che le emozioni che vivo possano essere condivise anche da qualcuno che ha raggiunto dimensioni diverse dalla nostra; el me papà non ha mai pensato di conoscere e comprendere la motocicletta: spero che, lassù si sia ricreduto… No ragassuoli, non è una via di fuga. Fuggire non serve, tanto devi tornare. L’Harley è uno specchio. Lo specchio in cui rifletti te stesso, le tue emozioni, pronta a farsi plasmare e trasformare in mille e più modi diversi mantenendo comunque intatta la sua identità di Regina della Strada. Il Chapter è il luogo ove impari o affini, se già la possiedi, la capacità di aggredire un problema moltiplicandolo in più piccole frazioni, maggiormente “digeribili” e come ogni aggregazione umana è scuola di vita. Voltaire diceva:«Ho deciso di essere felice, perché fa bene alla salute». Percorrere la via verso la felicità su di un’Harley® ne amplifica il concetto. Cosa spinge una legione di Hoggers, di anno in anno sempre più nutrita e numerosa, a raggiungere la East Coast italiana in quel di Rimini, sede dell’HOG® Inverno, sfidando le insidiose armi del Generale Inverno, intabarrati come Esquimesi, goffi come orsi polari, impavidi, senza macchia, senza paura come moderni Cavalieri di Ventura, fuori dallo spazio, fuori dal tempo, dentro una magica e ovattata dimensione alla ricerca di sé stessi, quando “fuori piove un mondo freddo” ed “in giro c’è nessuno”? Se dovessi spiegarti… Come sempre: Be Proud and Be Happy. Orgogliosi di appartenere al Vostro Hog® Chapter. Felici di cavalcare l’unica motocicletta al mondo che abbia un’anima…"