mercoledì 31 gennaio 2007

Hush-hush!

Adesso che ho accesso ai dati reali (e non a certe meravigliose... fantasye) sono un po’ preoccupato sullo stato delle cose. La preoccupazione è cresciuta guardando a quello che faccio io. Dopo Gears of War la mia 360 è spenta. Dopo Guitar Hero I&II, che ho demolito durante le vacanze di Natale, e un po’ di propedeutico Pro Evolution Soccer 6, anche la mia PlayStation 2 è rimasta spenta. Anche lei. Siamo a metà della nuova rivoluzione videoludica e succede che Microsoft e Nintendo abbiano le loro nuove home console inchiodate agli scaffali... I dati di vendita, quelli veri, parlano di 360 e Wii che non “escono”. L’unica cosa che si vende è il Nintendo Ds. Che le nuove macchine costino sempre care non è una novità, ciò che è nuovo (ma non sono del tutto convinto) è che i pochi titoli realmente validi in circolazione non giustificano più un investimento di portata eccezionale come quello necessario per portarsi a casa una console di terza generazione. Dice: quando uscì Ps2 c'era Fantavision, mica Gta. Ma se io sedessi ai piani alti dei metaforici grattacieli-che-contano mi preoccuperei lo stesso. Se 360 non vende, pazienza ci siamo abituati. Se vende Ps2 idem, ma con un “ma” alto come le Alpi. Perchè Wii, con il suo prezzo aggressivo e la sua carica innovativa dirompente (?), con l’intenzione chiara a dichiarata di spopolare tra chi fino ad ora non era un giocatore, ha fallito il bersaglio e sembra ricalcare le prestazioni fuoco-di-paglia-cammina-con-me del Cubo, mentre il Ds ha catturato i soliti Millanta Pokémon-dipendenti, qualche pischella a cui i genitori non comprano il cane e un sacco di uomini di mezza età col complesso del cervello stanco. Costano troppo le nuove console oppure il punto è altrove? Non lo so, ma c’è qualcosa che non quadra. Il mercato stagna, forse, perché mancano i soldi in tasca? Posto che gli acquisti sono comunque più ponderati rispetto a qualche anno fa, non credo sia esatto. Stagna perché la mania dei videogame è un po’ scemata, così come si sono polverizzate le buone idee e la creatività che questa mania avevano generato. È sintomatico che i primi titoli forti su 360 siano stati un gioco di guida e uno sparatutto. Ps3 farà lo stesso: Motorstorm e Resistance: Fall of Men. Dove diavolo sono i giochi “nuovi”? Forse l’idea di spendere 450 o 650 euro (a seconda della sponda che si sceglie...) per una console che servirà per guidare le solite macchine e sparare ai soliti alieni ha un po’ rotto le scatole, chissà... in più c’è l’assordante silenzio di Sony che non ha ancora messo in giro mezzo spottino virale, fatta un’affissione. Niente. Ok, manca ancora un po’ di tempo, ma gli scorsi lanci avevano ben altro sapore e stavolta non c’è l’impressione che il silenzio sia quello che precede l’onda dello tsunami o il terremoto. Stavolta, a me, il silenzio sembra silenzio e basta. Magari sbaglio e me lo auguro di brutto. Ma sembra quasi di sentire un distante e vago rumore di denti che battono e chiappe che si serrano...

lunedì 29 gennaio 2007

58

Tanti ne ho fatti domenica. Pochi-pochi, in verità, ma il termometro non era ancora amico di nessuno, a parte i ciuccia manubri sui loro plasticoni giapponesi che, tra carena e tutoni di pelle, non sentono neanche se gli versi addosso l’idrogeno liquido. Giornata splendida, però. Aria frizzante, cielo terso, sole finto (quello che illumina bene tutto quanto ma non scalda neanche se lo paghi) e un tizio rotondetto che, col sorriso tipo-ictus, se la romba allegro verso la Svizzera. Bellissimo. Tutto. Specialmente il tizio rotondetto. Peccato che, come al solito, quando Capitan Costina accende la moto si dimentichi di pensare a dove andare, di farsi una mappina mentale anche minima del “run” , e lasci che sia il momento a decidere. Che poi è la cosa migliore per girare da quelste parti. Infatti succede che, ispirato da un profumo, da una strada o da quello che capita vado a scoprire posti splendidi che inevitabilmente non sono più in grado di raggiungere una seconda volta. Porcaloca. Ma questo non è importante e nemmeno più tanto vero perchè ho il navigatore che mi prende le coordinate del posto dove mi trovo e lo fa diventare un “punto di interesse”. Fréguntùbo? Amen. Infatti, non è accaduto niente di particolare se non che, dopo aver scelto la sponda del Ceresio (lago) esposta al sole, mi sono ritrovato sulla strada del ritorno completamente in ombra. Ho preso un freddo dell’osti e oggi ho starnutito&tossito tutto il giorno. Ma ha da finire l’inverno, oh! se ha da finire! Curioso che non abbia visto neanche un collega hogger in giro...

La pupazza non c’entra quasi niente ma credo che non esista migliore augurio per un prossimo weekend bello caldo. Ok, caldo è difficile. Mi basta tiepido...

venerdì 26 gennaio 2007

Cielo grigio su... qui fa un freddo blu.

Come previsto, nel momento in cui ho “tappato” il buco che c’era in garage (spazio vuoto cui accennavo nel post relativo a World of Warcraft) ha smesso di fare bello, la temperatura è scesa sotto zero e ha cominciato a nevicare… Però, nel breve lasso di tempo che è intercorso tra il ritiro dello splendido Sporster che ora mi appartiene e il drammatico cambiamento del clima (finalmente gli orsi potranno andare a dormire), sono riuscito a macinare un centinaio di chilometri. Che goduria. Poca cosa rispetto a quelli che conto di fare da questa primavera in poi, ma sufficienti per capire il motivo per cui si dice che le Harley abbiano un’anima. Il suono del motore mi ha conquistato in un attimo e l’estremo piacere che la guida comunica è bastato per farmi desiderare altre latitudini, stagioni e temperature rispetto a quelle che adoro. Non ci credo, ma ho voglia di sole e per adesso l'unica cosa che posso fare è inaugurare una nuova categoria…

mercoledì 24 gennaio 2007

Pro pack-O

Leggere una recensione che tratti di videogiochi, spesso, è pericoloso. Se da quelle pagine, poi, si cerca di trarre un’indicazione per spendere meglio i propri soldi, ci si può tranquillamente rassegnare a terminare l’articolo senza un’opinione precisa, pensando che birra e salsicce siano un’alternativa sicura, concreta, esatta, al videogioco in questione. E lo sono comunque, non sempre, ma spesso. Perché? Primo: saper scrivere in italiano non significa saper fare il giornalista. Secondo: saper fare il giornalista (e la cosa è tutta da dimostrare…) non significa essere in grado di fare critica videoludica. Terzo: non esiste nessuno che insegna a fare queste cose insieme. Quarto: il comparto editoriale specializzato, in Italia, somiglia al Sud degli Stati Uniti prima della Guerra di Secessione, con le piantagioni (di cotone o tabacco poco importa) gestite a nerbate. Va detto che, in questo panorama, chi ha investito, chi si è preso la briga di osare cercando qualità e competenza, qualche risultato è riuscito a portarlo a casa. Chi si è circondato di “yesmen”, non è stato in grado selezionare collaboratori capaci (quindi potenzialmente pericolosi in termini di cadrega), non ha creduto nel marketing o ha pensato che anche quello funzionasse a suo piacimento (quando invece esistono regole chiare come formule matematiche), è rimasto al palo. L’industria dei videogiochi in Italia sta cambiando, cresce, matura. E si sterilizza. Lascia da parte improvvisazione, pressappochismo e anche un poco di passione, acquisendo di contro sostanza e qualità. La stessa cosa dovrebbero fare gli editori specializzati, o per lo meno quelli che non hanno ancora capito che Internet, fonte suprema di informazioni gratuite, aggiornate al secondo (e quindi letali per chi esce in edicola una volta al mese), si è mangiata una fetta enorme dei loro lettori; che non basta un bel pacchetto: sono necessari contenuti. Ben scritti, chiari, professionali. E non è nemmeno detto che si riesca ugualmente ad avere successo. I lettori, di base i clienti che acquistano un prodotto qualsiasi, devono imparare a conoscerlo o, almeno, averne la possibilità. Questo significa una riga fondamentale nel piano marketing: budget pubblicitario. L’industria dei videogiochi in Italia sta cambiando, cresce, matura. Acquista spazi su radio e Tv. Se qualche anno fa, per scriverne, bastava la passione verso i videogame, oggi non è più così. Se qualche anno, fa per vendere riviste, bastava essere in edicola con copertina e carta di qualità, oggi non è più così.

martedì 23 gennaio 2007

Questi sono pazzi...

Dunque dunque...
Leggo sul corrierino (la preview gratuita del Corriere della Sera) che c'è in ballo un bel disegnino di legge, ad opera degli inesauribili rifondaroli, per salvare il cinema italiano. L'ideona, perchè di ideona si tratta, è in sintesi questa qui (cito dal corrierino): "le case di distribuzione e le sale cinematografiche non potranno programmare più di un film extracomunitario ogni due comunitari. Uno però dovrà essere obbligatoriamente italiano.-La soluzione contro il potere dilagante delle major americane è l'istituzione di norme antitrust a sostegno del cinema italiano- ha sottolineato Titti De Simone, capogruppo di Rc in commissione cultura".
Il bello è che, logicamente, dovrà essere istituito un bel "Centro nazionale per la cinematografia" che si occupi (ricito il Corrierino): "di controllare e finanziare. Il mancato incasso dei film nelle sale verrà rimborsato dallo Stato attraverso misure di sostegno fiscale". Ora: se la cosa del rimborso non è chiarissima, è invece lampante che si tratta di dare lavoro a compagni e compagnuzzi rigorosamente fedeli alla linea e quindi - qui il vero capolavoro - di garantire ulteriore sostegno a gente che produce, già oggi, clamorosi flop in grado di generare solo sbadigli.

Quello che trovo agghiacciante è il sempreverde atteggiamento dei "difensori della libbertà" a tutti i costi che, con solita supponenza, pretendono di insegnare a tutti come si vive e cosa si dovrebbe leggere-ascoltare-vedere. Se ho voglia di vedere una bojata con Vin Diesel voglio essere "libbero" di farlo, ochéi?

E poi... Vuoi difendere il cinema italiano?
Bello, mi piace, hai tutto il mio appoggio.
Ma non farlo a scapito di altri!
Se poi gli "altri" ti sono stati sempre e geneticamente sulle balle sono estremamente portato a dubitare della tua buona fede.
Fa proprio parte del Dna di certa gente: non riescono ad essere PRO ma soltanto CONTRO e questo non mi piace affatto...

Pan di Via della partenza

Lembas degli Elfi
(per 4 persone)

• 300 gr di farina
• 1 bustina di lievito per dolci
• 100 gr di zucchero
• 1 uovo intero
• 250 ml di latte
• 100 gr di miele
• 50 gr di burro
• 50 gr di panna fresca
2 foglie di banana per confezionare

Mescolate burro, miele, panna fino ad ottenere una crema soffice. Separate l'albume e il tuorlo e sbattete il tuorlo con il latte. Tenetene da parte poco per spennellare il pan di via prima della cottura. Unite il latte con il tuorlo alla farina e mescolate cercando di evitare i grumi. Aggiungete lo zucchero al composto di miele, panna e burro, poi il lievito e infine l'albume d'uovo montato a neve. Unire tutto e lavorare a pasta morbida. Tirare a sfoglia alta 3 mm con un mattarello e tagliate i lembas a triangoli o quadrotti, sistemarli in teglia su un foglio di carta da forno, tenendoli a 1 cm di distanza tra loro. Pennellate la superficie dei biscotti con uovo e latte, cuocete per 12 - 13 minuti in forno già caldo a 250 gradi. Servite freddi e, se non siete in viaggio, accompagnate i lembas con un po' di crema alle mele. Diversamente, conservate i Lemblas avvolti nelle foglie di banana.

Robert Johnson

Robert Johnson è senza dubbio una delle personalità musicali più importanti del secolo scorso. Figlio di quell’America rurale fotografata così bene da Nick Cave (proprio quello dei Bad Seeds) nelle pagine del suo sorprendente romanzo “E l’asina vide l’angelo”, Johnson incarna l’immagine del musicista dedito alla sacra triade del rock, sesso, droga e rock‘n roll, ma con le dovute sostituzioni (la droga diventa alcol, il rock‘n roll si trasforma in blues mentre il sesso rimane fortunatamente lo stesso). Johnson inaugura anche un altro paradigma del rock e cioè quello che vuole i geni musicali defunti a 27 anni e non di più. La sua morte, così come l’intera esistenza, è caratterizzata da moltissime ombre e poche luci che sembrano provenire direttamente dall’inferno. Johnson ebbe infatti un rapporto privilegiato con il diavolo. Incontrato in una misteriosa mezza-notte a quello che diventerà un altro stilema classico del blues (il “crossroads”, l’incrocio), il demonio gli concede una fenomenale perizia chitarristica in cambio della sua anima, reclamata qualche anno più tardi.

Questa la leggenda, estremamente affascinante, mescola e interpreta la realtà storica con elementi di fantasia e finisce per creare il mito. Agli inizi della sua carriera e fino alla tragica morte della giovanissima moglie, la sedicenne Virginia, RJ non è affatto un fenomeno alla chitarra, tanto che uno dei suoi maestri gli consiglia di lasciare perdere e dedicarsi all’armonica a bocca, strumento per il quale sembra decisamente più versato. Quando Virginia lo abbandona, RJ sprofonda nella disperazione e comincia un’esistenza nomade nelle città del delta del Mississippi dove impara moltissimo sulla chitarra. Tutto questo fino all’incontro con il diavolo che concluderà la sua formazione musicale. In effetti pare che il diavolo avesse le sembianze del misterioso e cupo bluesman Ike Zinneman, personaggio schivo che vestiva di nero e amava suonare di notte nei cimiteri e che si guadagnò in fretta la reputazione di Satana. Johnson ne sarà il discepolo per un anno, affilando le sue armi e trasformandosi nel sublime cantore di un blues caratterizzato da melodie malate e da tematiche dolorose, quasi gotiche che spesso fanno riferimento proprio al diavolo come in "Me And The Devil Blues": "Early this moring/ When you knocked upon my door/ I said, Hello, Satan/ I believe it's time to go", all’alcol in "Drunked Hearted Man": 
I'm a poor drunken hearted man and sin was the cause of it all. But the day you get weak for no good women,that's the day that you surely fall” o alle donne facili che incontrava sulla sua strada.

Antonio Ciarletta su Ondarock.it
”Il rock è la musica del demonio, ed è vero, o almeno è vero nella misura in cui riesce a essere non elemento attraverso in cui esso (la forza distruttrice) si manifesterebbe (visione a cui è intimamente legato l'immaginario superficiale ed estetizzante del rock'n'roll), ma nella misura in cui si pone come fattore catartico, rispetto a un'interiorità repressa da un vivere quotidiano non in linea con le proprie sensibilità, dell'essere diversi in una società in cui i comportamenti necessitano di uno standard codificabile, al fine della convivenza civile. Johnson cantava del diavolo perché intendeva esorcizzarne la potenza distruttrice, perché attraverso il racconto del peccato riusciva a esteriorizzarne gli effetti, a far sì che la sofferenza morale si trasformasse in energia rigeneratrice. Il peccato autoalimentava la musica e il suo essere, per cui ne era imprigionato malgrado tutto, ma, nell'incontrovertibile reiterazione, aveva pur la necessità di deviarne gli effetti. 
Niente da dire: con la triade donna (sesso), alcol (droga), blues (rock'n'roll), con la sagoma minacciosa del demonio sullo sfondo, Johnson ha letteralmente costruito l'immaginario del rock, ma il beat irrefrenabile della sua musica, la voce coinvolgente, i sentimenti che sgorgano liquidi da quelle parole, fanno sì che la fruizione delle sue canzoni, da puro ascolto esegetico/accademico, da fascinazione per l'America che fu, si trasformi in sentire interessato ed emozionante, in note che toccano il profondo. 
Perché questo è il blues; esso nasce dal connubio simbiotico di arte e vita, come espressione di un sentimento, come fulgida esteriorizzazione dell'io nascosto, represso e violentato dalle necessità materiali; è la perfetta fusione di anima e corpo, tra l'interiorità e i significati che nasconde, e il significante, che si materializza nelle note di una chitarra che gemono e veicolano dolore. Ecco perché chi successivamente ne ha ricalcato la tecnica senza aver nulla da raccontare, senza un fuoco da estrinsecare, ha composto una musica mirabilmente vuota, un simulacro dalle fattezze fredde e inanimate, un significante che trasporta la sua ombra in un circolo vizioso/virtuoso di scale e accordi reiterati, di prurigini tecnicistiche che rimandano a se stesse, non al caldo desiderio dell'anima di farsi corpo. 

Proprio questo è invece Robert Johnson, questo è il blues e perciò se ne intravede il fantasma anche in musiche che non lo chiamano in causa in modo diretto. Questo è Robert Johnson, questo è il blues, e artisti come Brian Jones, Jim Morrison, Janis Joplin, Jimi Hendrix, Jeffrey Lee Pearce, Ian Curtis, Nick Cave, Simon Bonney, Kurt Cobain, Layne Staley, tra gli altri, godranno di gloria imperitura perché ne incarnano lo spirito, al di là delle opinioni critiche dei mille esegeti buontemponi di turno. 
La musica di Robert Johnson è la musica del peccato. Sublime".

domenica 14 gennaio 2007

Ricettine

Idromele di Lorien

• 2 kg di miele
• 1 bustina di lievito per vini
• 1/2 cucchiaino di nutriente per lievito
• 1/2 cucchiaino di acido citrico
• 3 l di acqua minerale

Fate sciogliere il miele in 2,5 l di acqua, fate sobbollire il composto per 15 minuti. Raffreddate portando il liquido alla temperatura di 25 gradi. Mentre si raffredda il composto, sciogliete il lievito in un bicchiere di acqua tiepida e tenetelo coperto per 10 minuti. Aggiungete il lievito, il nutriente e l'acido citrico nel composto, aggiungendo altra acqua tiepida per arrivare a 5 litri di composto totale. Mescolate tutto energicamente per ossigenare bene. Coprite e lasciate fermentare in un luogo tiepido per due settimane. Trascorso questo tempo, travasate un bottiglione cercando di non travasare anche il lievito che si sarà depositato sul fondo della pentola nel frattempo. La seconda fermentazione nel bottiglione dovrà proseguire per 5 mesi sempre in ambiente con temperatura media costante di circa 20 gradi. E' consigliabile travasare ogni mese l'idromele in un altro bottiglione in modo da eliminare un po' di deposito che si forma sul fondo. Trascorsi i mesi, imbottigliate l'idromele ottenuto e lasciatelo maturare nelle bottiglie in luogo fresco, ancora per circa un anno.

venerdì 12 gennaio 2007

Caro Diario...

Il blog, in fin dei conti, è un po’ quello che ti pare. Può essere un ottimo strumento di informazione alternativa e indipendente, una raccolta di articoli, pareri di vario genere (politica, sport, videogiochi, scienza, musica, lapatatachenonguastamai, eccetera), ma può anche essere un’altra cosa, forse l’interpretazione che a me piace di più. Può essere un diario tra le cui pagine finiscono fiori secchi, scontrini di colazioni fatte chissà dove, fotografie, adesivi o quello che ti resta in tasca dopo una serata che non riesci proprio a ricordare. Per me è lo spazio dove racconto quello che succede, mi colpisce o infastidisce, è il posto dove levare i sassi dalle scarpe, mandare a quel paese cose o persone, il tutto senza nessuna pretesa, per carità. Ho scritto e tuttora scrivo abbastanza pagine di critica (cinematografica, musicale, videoludica, ludica – c’è una bella differenza – e di tecnologia) che ora mi serve davvero uno spazio da usare come il più canonico dei “Caro Diario”. E per questo sono contento di avere aperto la mia cucina (mentre comincia la nuova dieta – ‘zzovuoi? Gli U2 hanno fatto la turnè 2006 e io faccio dieta 2007…). Io preparo da mangiare per me, se uno entra e vede che sul tavolo c’è qualcosa che gli piace mangia, altrimenti la porta rimane aperta anche per uscire.

Quello in foto è un ampli valvolale Peavy da 30Watt, modello Delta Blues, che costa un boato. Sarà anche una figata, devo chiedere un giudizio al Drugo, però per me un aggeggio che costa 734 "ddolla" e non non ti "fa ammore lungonungo" neanche un po'... insomma... non so... io ci penserei prima di spendere.

giovedì 11 gennaio 2007

Goodnite again, JB

Finalmente, forse, JB godrà di una degna sepoltura. Perché fino ad oggi, malgrado i sontuosi funerali, il suo corpo non è ancora tornato alla terra ed è conservato in una delle stanze della sua casa di Atlanta (a temperatura controllata) vegliato da due delle sue più fedeli guardìe del corpo. Tutto questo perché c’è di mezzo una moglie più giovane di molti dei suoi figli, che in più gli ha regalato anche un nuovo erede. Logico che i parenti si siano incazzati o che, per lo meno, chiedessero di verificare alcune cosette. Il problema è che si sono comportati proprio bene perché la prima cosa che hanno fatto è stata quella buttare in mezzo alla strada moglie e figlioletto e cambiare le serrature. Va detto che l’ultima moglie di JB è una donna di 37 anni piuttosto attraente (la cosa non stupisce un granchè), ma bianca, un fatto che le ha inimicato buona parte della numerosa famiglia Brown, giunta ad esprimere dubbi anche sulla reale paternità dell’ultimo nato dai funky-lombi di JB… E adesso finalmente c’è il testamento nel quale il Mito esige che venga fatto il test del Dna per tappare la bocca al parentado. Chi pensa che tutto questo bel casino sia generato unicamente dai milioni che Mr. Dynamite può aver lasciato, mentre le sue spoglie magari cominciano a puzzare anche un pochino, si sbaglia di grosso. La vera partita si gioca sulle royalties e sull’archivio discografico, un patrimonio enorme di registrazioni, master registrati in oltre 50 anni di attività.
Again: Goodnight JB

mercoledì 10 gennaio 2007

Fantasylandia

Dagli appunti di Carl Nilsson Linnaeus, a.k.a. Carl von Linnè, a.k.a. Carlo Linneo, naturalista svedese. Qualsiasi incoerenza temporale, riferimento a fatti, persone, animali, fiori, nomi di città, sistemi economici, filosofi, dicks&decks realmente esistenti e/o esistiti è puramente casuale.

Fantasylandia, un mondo a parte.
Nel corso dei miei viaggi per il mondo è capitato in ben più d’una occasione d’imbattermi in luoghi curiosi e misteriosi, spesso abitati da creature affascinanti, a volte persino da mostri. Nulla di quanto avevo visto fino ad allora, però, mi aveva preparato a quella che sarebbe stata l’esperienza vissuta a Fantasylandia. E di cose, io, ne avevo già viste un bel po’… La natura lussureggiante dell’isola, infatti, unita all’indole apparentemente paciosa e serena degli indigeni, porta lo studioso, o a chi decide di trasferirvisi, a ritenere di aver trovato il Paradiso sulla Terra, una valutazione che con il passare delle stagioni tende inevitabilmente a mutare e spinge a nuove esplorazioni, a volte anche verso l’ignoto, comunque e inevitabilmente il più lontano possibile. Gli abitanti di Fantasylandia, che sulle prime ricordano per certi versi il “buon selvaggio” enunciato da Rousseau, ad uno studio più attento rivelano una natura molto più complessa. Essi vivono con il solo obiettivo di gratificare chi li comanda attraverso le proprie prestazioni professionali (in alcuni casi anche sessuali ma si tratta rari e singolari di riti di passaggio), nell’illusione che all’interesse della tribù corrisponda quello dei singoli. Per quanta fedeltà e abnegazione essi dimostrino, infatti, in cambio ricevono solo il minimo per la sussistenza e qualche perlina colorata.

La struttura sociale: Fantasylandia si basa su un sistema di caste che ricorda quello vigente nell’India dei maragià durante il dominio coloniale britannico. La differenza risiede nel fatto che a Fantasylandia il sistema di caste è “aperto” almeno in una direzione: verso il basso, nel senso che gli appartenenti alle caste superiori possono scendere. Difficilmente viceversa. Sul primo gradino della scala sociale si incontrano quindi gli “in-tock-a-billy”, esseri comunque produttivi, ma che sono tollerati dal resto della comunità con un certo fastidio. In questa casta vengono infatti collocati gli individui che a vario titolo hanno fallito missioni, mancato di rispettare le ferree regole imposte dal capo-tribù o dal “consiglio degli assenti” ed enunciate nel Popol Vuh (o Libro del consiglio), hanno genericamente commesso peccato mortale (definito dal capo tribù a seconda di come gli gira) o più semplicemente hanno sviluppato un’opinione propria discordante con quella della tribù e hanno avuto l’ardire di renderla pubblica. Molto spesso il dissidente propone miglioramenti anche efficaci, ma competenza e indipendenza sono considerati difetti che da quelle parti conducono velocemente all’isolamento sociale. Il metaforico scivolo che conduce a questa metaforica fossa è altrettanto metaforicamente ben lubrificato e si appoggia quindi sull’assunto che, nel sistema sociale di Fantasylandia, non esiste redenzione. Un gradino più in alto, ma paradossalmente estranei al sistema delle caste e quindi laterali, ci sono gli “onesti”. Di norma, essi sono gli elementi più giovani della società che non hanno ancora potuto farsi valere o fallire, e quindi non appartengono ancora a nessun gruppo sociale. Più su troviamo la casta maggiormente dinamica, quella dei cosiddetti “uan-na-bee”, che si scontrano quotidianamente in prove di prove di forza e di combattimento (denominate “hor-da-liah” o “ba-cst-a-bin”) per mettersi in luce agli occhi dei capi-guerra. Si tratta degli individui che hanno raggiunto la maturità sessuale e che, dopo averne mangiate diverse, hanno cominciato a capire che le perline colorate non forniscono nutrimento e irritano l’intestino, specialmente nella sua parte finale. Per questo motivo, costoro desiderano ardentemente accedere ai benefici della casta superiore. Appena sopra, ma in posizione dominante rispetto agli “uan-na-bee”, ci sono gli “ill-uhminaty”. Si tratta di una casta religiosa dedita al rispetto maniacale delle direttive emanate dal “consiglio degli assenti”, in pratica i grandi sacerdoti che officiano la sacra cerimonia della “mobbha” – vedi oltre – e che aspirano alla carica di capo-guerra. Questi ultimi, cosiddetti “nah-ni-bag-onghi”, appartengono alla ristretta elite di ex “uan-na-bee” che godono dell’assoluta fiducia del capo tribù e siedono all’interno del “consiglio degli assenti”. La carica è ambitissima, si tratta infatti di un titolo semi-nobiliare e vitalizio, che garantisce una grande quantità di privilegi: a partire da quello impagabile di non osservare le rigide leggi emanate dal “consiglio degli assenti” stesso fino allo jus primae noctis. Sopra ai “nah-ni-bag-onghi” c’è la figura dominante del nano-Tatoo. Molti studiosi tendono ad assimilare la sua carica a quella del Grande Puffo, altri a quella di Tom Hagen, altri ancora non hanno un’idea precisa su come definire questa ineffabile e sfuggevole figura ma suggeriscono di guardare in fondo alla tazza, prima di tirare lo sciacquone, o di cercare Childerico III su Wikipedia. Utilissimo al capo tribù per mantenere lo status quo di un contesto sociale caratterizzato da tensioni fortissime, il nano-Tatoo ha visto via via ridursi la sua importanza a Fantasylandia ma mantiene tuttora una inattaccabile posizione nel “consiglio degli assenti” grazie al supporto che fornisce al capo tribù in oscuri rituali divinatori che, periodicamente, si tengono lontano dalle coste di Fantasylandia. Sopra al nano-Tatoo c’è solo il capo-tribù che si fregia del titolo di Mr. Rork, un titolo nobiliare che si tramanda per linea di sangue. Una volta incoronato, il Mr. Rork esercita il suo potere come un sovrano assoluto, per quanto la presenza del nano-Tatoo e del “consiglio degli assenti” faccia pensare ad una forma primitiva di monarchia costituzionale, e tiene un contegno improntato strettamente al concetto di genio e sregolatezza (in realtà nel corso dei secoli le mansioni del Mr. Rork di Fantasylandia sono molto mutate) tendendo però più verso la seconda caratteristica.

La religione: a Fantasylandia vige una di religione di Stato che pone al centro delle cerimonie, dopo Mr.Rork nella versione Ku-Kul-Kan il serpente piumato a due teste da alcuni identificato con il cielo, quello dello ”iùro” cui si offrono ingenti sacrifici umani, specialmente dopo una stagione di raccolti poco soddisfacenti.

Le cerimonie: il libro del “Popul Vuh” rimane ancora un mistero insieme alle cerimonie che disciplina, ma durante le nostre osservazioni siamo riusciti a identificarne qualcuna. La più articolata è quella che sancisce il passaggio di casta. Per quanto il Mr. Rork possa apparentemente perdonare chi lo ha deluso, il resto della tribù tenderà a emarginare lo sventurato che verrà incluso nella casta degli “in-tock-a-billy”. Questo processo è governato da due cerimonie religiose importantissime che avvengono in sequenza: la prima è l’orgia del “kalchi-n-koolo”, seguita immediatamente dal rito del “tharalluhchi-a-vinnoh” cui partecipano solo le caste più elevate della tribù. Successivamente ha luogo una terza cerimonia, molto più complessa, che coinvolge tutta la comunità e che, condotta dagli appartenenti alla casta degli “ill-uhminaty”, è detta “la-mobbha”. I sacrifici umani, invece, sono una caratteristica delle civiltà primitive che, cresciute troppo in fretta, non sono state in grado di gestire oculatamente il progresso e hanno sperperato le risorse accumulate. Per questo motivo, nei momenti di crisi, “consiglio degli assenti” decide di sacrificare alla divinità un certo numero di appartenenti alla tribù, quantitativo che cresce a seconda dell’intensità e della durata della crisi. La cerimonia, denominata “hlev-t’e-mie-zz” o nelle parti settentrionali dell’isola “foe-rahd-ahi-bal”, è sempre piuttosto movimentata e non di rado drena ulteriormente le riserve della comunità, che accompagna al sacrificio anche una serie di offerte votive.

L’economia: il sistema economico di Fantasylandia si basa sullo scambio degli artefatti, prodotti dall’ingegno degli indigeni, con derrate e oggetti di valore che vengono ridistribuiti dal “consiglio degli assenti” secondo misteriosi criteri enunciati nelle pagine segrete del “Popul Vuh”. La tipologia degli artefatti da realizzare viene definita dal consiglio durante alcune cerimonie altrettanto segrete cui partecipano solo le caste più elevate (talvolta persino gli “ill-uhminaty” non vengono coinvolti) che non hanno comunque diritto di voto. Con il passare dei secoli, la qualità degli artefatti prodotti è andata peggiorando e l’intero sistema economico di Fantasylandia ne ha sofferto, costringendo la tribù a un numero crescente di sacrifici umani e a cambiare la sua natura, da gruppo sociale stanziale a nomade.

martedì 9 gennaio 2007

Videogiuochi d'un teNpo

Faccio seguito a un post - vecchiotto - di Eldacar che dal suo blog mi ha fatto venire in mente un po’ di cose…
Capitan Costina s’è fatto tutte le rivoluzioni videoludiche e ha partecipato alle console war.
Un bel cavolo di reduce con le sue cicatrici.
Un po’ nel portafoglio (con gli anni si sono rimarginate anche se il virtual boy fa ancora un po’ male quando cambia il tempo) e il resto nelle scatole giù in cantina. Non è sbrodoloneria, si tratta di semplice anagrafe. E’ che nel 1978 c’ero ed ero anche già abbastanza sviluppato per coordinare in modo coerente gli occhi e le mani, triangolando poi il tutto con uno schermo in bianco e nero. Lì sopra c’era una piccola postazione di contraerea che sparacchiava suppostine bianche facendo “piiif”.
Si: ero lì quando sono arrivati i videogiochi ed ero lì anche quando aprirono le prime sale giochi. C’ero quando se avevi meno di 16 anni non potevi entrare. C’ero quando si giocava con la paura del Gufo che ti si metteva dietro e, fissando lo schermo, ti alitava sull’orecchio cipolla, fumo o Big Bobble come un maniaco, fino a quando non mollavi la postazione. Ricordo ancora l’arrivo di Dragon’s Lair nella sala giochi di Varese, la mitica Wanna Gonna oggi piena di slot, videopoker del menga e residui arcade vecchi di almeno cinque anni. Ricordo le code per giocare e il pubblico ancora più numeroso che si fermava a guardare le partite di quelli bravi, forse per rubare le mosse o vedere come andava a finire Dirk, il principe sfigato, o spiare le poppe della sua fidanzata Daphne. Erano gli anni delle “star” delle sale giochi. Una cosa tipo Pinball Wizard, ma come citazione è troppo retrò e per molti, forse, non vuole dire niente. Comunque ogni sala aveva una stella o più d’una, come le città del bestiame del Far West avevano il loro sceriffo, ragazzi più grandi che passavano un sacco di tempo lì dentro e che comparivano in sella a cinquantini modificatissimi, puzzolentissimi e rumorosissimi. Posteggiavano il destriero, accendevano la Chesterfield ed entravano nel locale. Che stile… L’effetto medio, agli occhi dei “normali” era quello dei pistoleri che compaiono nel saloon e si guardano in giro in cerca di sfidanti. Pupille d’acciaio tagliavano l’aria con lo sguardo da “questo posto non è abbastanza grande per noi due. Domani il sole splenderà sopra un unico re di (Tempest - Joust - Spy Hunter – Gauntlet – Hyper Olympics a.k.a. Track&Field… scegli un classico a caso)”. Esattamente come i pistoleri del Far West, ognuno aveva la sua arma preferita: il gioco di calcio, il picchiaduro, le corse, lo shooter e così via. Le sfide, spesso, si concludevano con l’esilio del perdente nei bar, in quelli che avevano l’antro buio con i videogiochi, dal quale lo sconfitto ogni tanto tornava (tipo “Pecos è qui: prega e muori” – 1966, Maurizio Lucidi) tentando di lavare l’onta subita o semplicemente proponendosi come re di nuovo gioco…
Le console hanno ammazzato le sale? Non so con certezza chi è stato a dare la prima pugnalata, quello che credo è che l’ingordigia dei gestori abbia sferrato l’ultima.
Le sale giochi in Giappone sono numerose, pulite, illuminate e frequentatissime. Il mercato delle home console e del software relativo è uno dei più vitali al mondo.

Ai bei tempi un gettone costava 200 lire, ma non ci sono più le mezze stagioni e rosso di sera bel tempo si spera.

Ps
Il tipo in foto mi somiglia, penso, ma si tratta di George Black – Texas Ranger, 1895 circa - sono vecchio ma non così tanto...

venerdì 5 gennaio 2007

Senza parole...

*Principio di Peter:
“In un’organizzazione ognuno cresce di ruolo fino al livello massimo di incompetenza”.
*Primo corollario di Peter:
“Col tempo, ogni posizione tende a essere occupatata un membro che è incompetente a svolgere quel lavoro”.
*Secondo corollario di Peter:
“Il lavoro viene svolto da quei membri che non hanno ancora raggiunto il proprio livello di incompetenza”.
*Inversione di Peter:
“In un luogo di lavoro la coerenza interna è assai più apprezzata della competenza”.
*Osservazione di Peter:
“La supercompetenza è considerata peggiore dell’incompetenza”.
*Legge sulla sostituzione di Peter:
“Preoccupati delle pagliuzze e le travi si arrangeranno da sole”.
*Prognosi di Peter:
“Passa abbastanza tempo a confermare il bisogno e il bisogno sparirà”.
*Placebo di Peter:
“Un grammo di immagine vale più di un chilo di fatti”.

Lawrence Johnston Peter, psicologo canadese.

Mi viene un dubbio terribile: che abbia lavorato anche lui a Fantasylandia? Certe cose sembrano partorite avendo in mente il signor Rork, ma non è possibile perché sull’isola che si vedeva in Tv c’era un solo nano (Tatoo), mentre a Fantasylandia “denoantri” sono un po’ di più…

giovedì 4 gennaio 2007

Coniiiiigli!

Francamente non l’ho ancora giocato e non so se lo farò, ma non è importante ai fini di quello che voglio dire. Una volta tanto, infatti, trovo il character design di un videogioco semplicemente geniale. Quello di Gears of War è efficace ma ricorda moltissimo gli Space Marines di Warhammer 40.000, Solid Snake l’ha fatto a fette, Sam Fisher almeno si è tagliato i capelli, la forza di Kratos - anonimo come uno in metropolitana - è tutta nella giocabilità, Lara è sempre Lara ma basta così. I conigli di Ubisoft, invece, sono semplicemente unici e non somigliano a niente di già visto. Foooorsemaffoooorse possono in qualche maniera ricordare Whiplash che ho recensito anni fa (senza giocarlo, come era uso a Fantasylandia, ma questa è un’altra storia che quando avrò tempo e soprattutto voglia, magari, scriverò). Per adesso mi basta ridere con questi roditori dementi. Per spendere ancora qualche euro in essenziali inutilità c’è questo posto qui: www.ubi-art.com

lunedì 1 gennaio 2007

Auguri

Capodanno: botti, feriti a Napoli e a Roma
ROMA - Primi bilanci delle vittime dei botti di Capodanno. A Roma e provincia una ventina i feriti, di cui uno solo grave. A Napoli, invece, la conta delle persone ferite dall'esplosione di petardi arriva a 52: 26 in citta' e 26 in provincia. Due persone sono state raggiunte da proiettili vaganti ma le loro condizioni non destano preoccupazioni, secondo quanto riferito dalle forze dell'ordine. (Agr)

Dice: è la tradizione. Bah... Bella tradizione del menga. Continuo a pensare che ci siano altri modi per festeggiare senza farsi male e trasformare le città italiane, in effetti solo alcune e sempre le solite che si distinguono per civiltà ogni volta che ne hanno l'occasione, in repliche di Beirut o Bagdad.

Auguri comunque.