giovedì 8 febbraio 2007

Chiamali scemi! (parte 1 di 2)

Se non si è gli autori di un pezzo (giornalistico, non sto parlando di carburatori) è sempre utile citare le fonti che lo hanno ispirato. Diversamente da così, correttezza, deontologia e professionalità vanno a farsi fottere. Potremmo aprire infinite parentesi sulla professionalità e sui livelli della stessa ma lascio stare. Certo, contando sull’ignoranza dei lettori si può anche fare una gran bella figura, ma le bugie spesso hanno le gambe corte e prima o poi le cose vengono fuori. Prima o poi. Per questo motivo confesso, ancora prima di cominciare a scrivere, che le informazioni seguenti le ho trovate su Gamasutra.com. Ecco fatto. – Un paio d’anni fa Electronic-Impero-del-Male-Arts acquistò il 20% del pacchetto azionario di Ubisoft, un’operazione pienamente in linea con il momento di grande espansione della multinazionale americana. In molti videro l’inizio di un tentativo di buy-out, una scalata che, se fosse arrivata a compimento, avrebbe messo nelle mani di EA altri brand estremamente popolari e redditizi. Splinter Cell, Rainbow Six, Ghost Recon e Ray-man tanto per dire. Questa ipotesi non era affatto campata in aria, perché il catalogo di Ubi avrebbe completato in modo definitivo il marketing-mix di EA. Ebbene, non è successo niente. EA ha però incassato, senza colpo ferire e solo per il fatto di possedere il 20% di Ubi, un dividendo della bellezza di 75 milioni di dollari. Tutto grazie alle performance del colosso francese in borsa, estremamente positive per il quinto anno di fila, ma per definire “semplicemente fortunato” il management di EA occorre una certa fantasia. Secondo Gamasutra, il futuro prossimo offre soltanto due alternative per EA: da una parte la scalata definitiva e l’acquisizione totale di Ubi, dall’altra la vendita del pacchetto azionario detenuto, plausibilmente alla stessa Ubi ed è qui che finisco di essere d’accordo con Gamasutra. Non vedo alcun motivo perchè i manager di EA dovrebbero gestire la compagnia diversamente da come fanno soltanto perché vendono videogiochi e comportarsi da spietati power monger. Gli affari sono affari e non esiste una differenza enorme tra un formaggino, videogioco o un’automobile. Sono tutti, banalmente, prodotti da vendere. A cambiare, semmai, sarà il marketing. Forse, ma neanche troppo. Con questo intendo dire che nel mondo dell’alta finanza mosse come questa, cioè possedere un “pezzo” di una compagnia di successo, sono abbastanza comuni. Fino a quando la quota posseduta non implica un coinvolgimento (economico o decisionale), si incassa denaro fresco senza fare assolutamente nulla. Produzione-logistica-marketing-dipendenti-strategie-eccetera rimangono saldamente in mano ad altri, ma poco importa se l’obiettivo è quello di fare soldi. Massima resa, minimo impegno. Chiamali scemi.

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