mercoledì 22 agosto 2012

Delirio da caldazzo: il freddo in macchina

Siccome che c'ho il mal di gola definitivo dovuto all'aria condizionata a manetta in auto, mi sono interessato di 'sta cosa del freddo in macchina e ho scoperto cose interessantissime sui lamantini che uno dice "cazzo c'entrano i lamantini" e ha pure ragione, se vogliamo.
Secondo alcune tavolette di argilla ritrovate 15 anni fa nel retro del ristorante cinese La Grande Muraglia di Vergate sul Membro (ridente? località tra San Colombano al Lambro e Minchiate sul Mincio), i primi allevatori di aria fresca sono stati i Vichinghi che la esportavano in tutta Europa e tentavano di scambiarla con derrate alimentari, pelli di animali e protesi di vario genere. Il problema che i Vichinghi non riuscivano a risolvere era che l’aria fresca non sopportava bene il viaggio e, una volta inscatolata, finiva per morire lasciando i clienti molto insoddisfatti. I Vichinghi, mite popolo di commercianti che ben conoscevano le pubbliche relazioni ma non erano affatto adusi all’idea di customer care, basavano le loro trattative sul concetto di “visto e piaciuto” che molti secoli più tardi sarebbe diventato estremamente popolare grazie a ebay.  In questo senso, quando i clienti reclamavano per le casse di aria fresca morta, esigendo di essere risarciti, i Vichinghi li uccidevano seduta stante e ne violentavano le mogli per poi incendiarne le case. Da qui si capisce facilmente che l’aria fresca è una risorsa estremamente delicata che andrebbe tutelata come si deve, un po’ come i lamantini. Cos’è un lamantino? In linea di massima è un siluro di carne che bruca le alghe.
Tra le idee più interessanti per riuscire a tenere viva l’aria fresca senza incorrere nelle ire dei Vichinghi, va segnalato l’ingegnoso sistema di aria condizionata montato sulle Studebacker che sfruttava un mammozzone attaccato al finestrino che convogliava l’aria (spesso calda) e la rinfrescava sfruttando la presenza di acqua all’interno del mammozzone stesso. Ignoro come, a sua volta, l'acqua fosse refrigerata. I risultati non garantivano il mal di gola da competizione che ho io, ma per lo meno permettevano di attraversare la Valle della Morte senza diventare parte del paesaggio. Certo, se uno si fermava a fare delle fotografie e gli entrava in macchina uno scorpione il rischio c'era lo stesso, ma l’aria fresca non c’entrava una mazza. Quanto alla Studebacker, si trattava di una macchinetta bruttarella, che poteva andare bene nei fumetti di Dick Tracy ma che dal vivo non è mai stata bellissima. Come casa automobilistica, la Studebaker ha chiuso battenti e produzione nel’96 dopo una storia centenaria che la vide cominciare l’attività realizzando carri per agricoltori, per minatori e veicoli militari, un approccio che spiega molto quando parliamo di linea e appeal di quei veicoli. Però è stata tra le prime a pensare all’aria fresca in macchina. Quindi ecco le radici del mio mal di gola. Ma guarda un po’.

martedì 27 marzo 2012

La mia Jenna è per sempre.

L’ho letto da qualche parte e l’ho detto io stesso diverse volte: biker non si diventa. Lo si è e basta. Non è una scelta razionale, è una cosa che hai dentro e che non è nemmeno legata al possesso reale di una motocicletta, alla maniera in cui la guidi o a quanto spingi quando ci stai seduto sopra. Conosco biker (o più in generale rider) che a piedi lo sono molto più di tanti “poser” che, perché indossano una t-shirt o fanno la faccia brutta per due giorni alla settimana, pensano di essere quello che non saranno mai. Insomma non ci si improvvisa, biker si nasce. E potrai anche spendere migliaia di euro in accessori e abbigliamento, riempirti di teschi sulla pelle, ma certe cose non le compri perché – semplicemente – non te le vende nessuno. Certo, tutto parte dalle moto e dallo sguardo di un ragazzino che spera di crescere in fretta per comprarsi le sue prime due ruote - o le prime ali, dipende da come la si vede. La moto rimane il centro di un mondo che ha tanta apparenza quanta sostanza, se la vai a cercare. Uno spot televisivo HD diceva che “vestiamo di nero perché il nero non mostra sporcizia o debolezza”. Beh, è vero… se scavi appena appena scopri dei cuori grandi e persino qualche cervello (quello non sempre). Ci piace andare a un motoraduno, vagare senza meta o con un obiettivo prefissato, ma senza l’assillo dell’orologio. Ci basta stare con la nostra moto, sentirne il cuore, incontrare persone con le quali condividere. Storie, risate, magari anche solo una birra, tutto ascoltando il ticchettio del motore che si raffredda in una notte di primavera... Non ho bisogno di hotel a cinque stelle e nemmeno di ristoranti da forchettine Michelin. Mai avuto. Voglio solo aria in faccia e asfalto sotto le ruote. Non mi interessa quello che la gente pensa quando sono in sella alla mia moto che è vecchia e ha un sacco di chilometri. Io so chi sono. So cosa voglio. Non so dove vado... ma l'importante è andare.
– ringrazio Fabio per l’ispirazione. Questo post nasce dall’ipotesi di privarmi della mia moto e dal primo ricordo che ho di un’Harley Davidson. 1974, Electra Glide della Politoys. Un giocattolo. Oggi, dopo quasi 40 anni da quella folgorazione, guido proprio quel modello...

mercoledì 14 marzo 2012

tecnologia portami via. Ma anche no.

Ragionacchiavo a casaccio (una cosa che mi viene benissimo, per altro, ma ho la skill da pendolare che mi garantisce un +3 al Neurodelirio da Trasporto) e mi sono accorto che, di base, ormai della tecnologia non mi frega poi molto. Questa cosa, avendo scelto di lavorarci a contatto più o meno diretto, può anche essere un paradosso, ma la vedo come una superba opportunità di scegliere come impiegare il mio residuale tempo libero che, in realtà, è veramente pochino. Caso mai servisse una definizione sintetica di “residuale” la trovate lì. Scegliere. Questa è la parola che ha realmente importanza. L’azione prevista da un verbo all’infinito che sempre più spesso ci è consapevolmente o inconsapevolmente preclusa grazie ai geni del marketing. Esempio: Microsoft ti obbliga a usare le sue cose, quindi Guglielmo Cancelli è Sauron, ma Stefano Lavori, con la sua serie di prodottini seducenti che ti accarezzano le sinapsi, era indiscutibilmente Satanasso. Tralasciando le mie impossibilità di scegliere se pagare o non pagare quella (i-n-s-e-r-i-r-e-i-n-s-u-l-to-a-p-i-a-c-e-r-e) di Equitalia che mi porterà a passare per l’ennesimo anno le mie ferie estive a casa, continuando il pendolarismo tra Varese e Pino Tronzano sul Lago Maggiore che comunque è un bel po’ meglio di Milano, mi sono accorto che scelgo sempre più consapevolmente di NON usare la tecnologia. Ok, non mi sono messo a macinare il caffè o a pestarlo con il martello, non ho piantato la verdura in giardino (quello l’ha già fatto il padrone di casa) e continuo a guidare una moto a carburatore vecchia di 13 anni che amo alla follia sulla quale non ho installato radio, navigatore o impianto denteblu per parlare al telefono mentre guido. Cioè, se sono in moto non mi si rompano i coglioni, grazie. Ho provato a leggere qualche libro su iPad e dopo aver traslocato mi sono maledetto per non aver sempre letto libri su iPad perché i fottuti libri pesano fottute tonnellate, ma quelli su iPad non profumano di stampa e non possono essere archiviati in libreria, una cosa che se sei seduto in poltrona ti consente di lasciare vagare l’occhio sulle coste e ricordare. Questo per dire cosa? Boh, forse, come al solito non lo so, ma può anche essere che l’uso spinto della tecnologia ci butta verso una fruizione sempre più facile ma sempre più superficiale di qualunque contenuto, visivo o sonoro che sia. I vecchi vinili avevano copertine che a volte erano opere d’arte, spesso si aprivano a libro rivelando altri contenuti, la “foderina” del disco conteneva altre foto e i testi delle canzoni. I CD offrono esperienze più compatte ma similari, magari qualche contenuto multimedia (il primo in cui mi sono imbattuto fu lo splendido Lions dei Black Crowes… e non ringrazierò mai abbastanza Pitone per avermeli fatti scoprire nel 2001), eppure era già l’avvisaglia di quello che sarebbe successo dopo: sintesi, tipo collant coprente 5 denari, tutto sempre più piccolo e semi illeggibile tanto che se vuoi bene alle tue diottrie, magari eviti di andare a cercare il nome dell’ingegnere del suono nella minuscola colonnina dei credit.
Questo a sua volta non significa che non rimango aggiornato e che non continuo a rimanerlo (anche se ho dei dubbi sulla “luce pulsata”), semplicemente, a differenza di qualche anno fa, nel mio tempo libero faccio altro. Tuttavia mi viene un dubbio: che questo post sia stato generato dai 200km suonati fatti domenica scorsa in compagnia di amici in mezzo alla natura e conclusisi perdendomi in un abbraccio che è stato come tornare a casa?

lunedì 26 settembre 2011

Goodbye SB

È sempre sbagliato dare per scontate le persone, ma a volte capita. Per paradosso è più facile farlo con chi ci è vicino, con chi consideriamo parte della nostra vita di tutti i giorni. Lo prendiamo e lo trasformiamo in un punto fermo, immutabile. Che invece cambia, si evolve o invecchia e, presto o tardi, smette di esistere in un modo o nell’altro. Non è che meno rogna, è il ciclo della Vita, triste ma reale. E fumetti pubblicati da Sergio Bonelli fanno parte della vita di molti, specialmente di chi è stato adolescente negli anni ’80 e si è “sviluppato” nei primi anni ’90, quando internet non era ancora fenomeno di massa e i cellulari erano privilegio di pochi. I fumetti di Bonelli sopravviveranno sicuramente alla sua morte così come Diabolik è sopravvissuto alla morte delle sue “mamme”, le sorelle Giussani; eppure io non riesco proprio a scrollarmi di dosso questa sensazione di perdita. E allora, esattamente non so perché (forse per cercare di rendere onore all’opera di Bonelli, forse per celebrarne il personaggio), ho deciso di condividere un ricordo personale, piccolo piccolo, a lui legato.

1992. Scrivo e pubblico da un paio d’anni, principalmente su Lombardia Oggi, il supplemento de La Prealpina, mentre tanto di laurearmi in Scienze Politiche. Tutto è partito da un malinteso. Il mio capo redattore mi ha chiesto se conosco Corrado Roi e io ho risposto di si. Leggo Dylan Dog da tempo e Roi è il mio disegnatore preferito, per questo lo conosco. Nel senso che so chi è e cosa fa. Che sia di Laveno non importa. Peccato che con “conosci Corrado Roi?” lui intendeva “conoscenza diretta e personale”, entratura da sfruttare per realizzare in tempi rapidi un’intervista da inserire in un servizio più ampio dedicato a DD. Fantastico, io e due pagine intere da riempire con articoli dedicati al successo rampante dei fumetti e del cinema horror, la possibilità di partecipare al Dylan Dog Horror Fest e incontrare personaggi del calibro di Robert Englund (Freddie anyone?). Taglio la parte dell’intervista e arriviamo all’uscita del servizio: due pagine fitte fitte che, rilette oggi, risultano bruttine anzichenò ma che all’epoca piacquero così tanto a Sergio Bonelli da portarlo a telefonarmi a casa. Peccato che io non c’ero. La segretaria di Bonelli insistette per lasciare il numero a mia madre, dicendo di richiamare e al mio rientro trovai un biglietto che diceva che un certo “Bonetti, Bonzelli o qualcosa di simile” mi aveva cercato.
Bestia che roba! Bonelli mi vuole parlare! Figata! Daidaidai! Oddio… e se ho scritto qualcosa di sbagliato? E se mi vuole fare causa? E se mia nonna avesse le ruote?
Beh, chiamo. Battito cardiaco accelerato. “Pronto? Posso parlare con il dottor Bonelli? – Chi lo desidera?” Non ricordo esattamente cosa disse e come si svolse la chiacchierata durata un paio di minuti, ma mi invitò alla cena di gala che seguiva la conferenza stampa di presentazione del Dylan Dog Horror Fest, dicendomi di farmi riconoscere una volta giunto al Principe di Savoia a Milano, cosa che feci guadagnandomi un sorriso frettoloso mentre Bonelli era impegnato a fare PR con persone molto più importanti di me.

In quanti oggi chiamerebbero a casa o sul cellulare per complimentarsi di un buon articolo?
Grazie per quanto ha fatto, dott. Bonelli. Per i personaggi e le storie che ci ha regalato.   

sabato 3 settembre 2011

Have mercy!


Avere il blues è una roba strana.  Dicono che per averlo bisogna essere afroamericani (insomma, scuri) e che è una cosa che ti prende quando meno te lo aspetti.  A parte il fatto che sul serio non sai quando arriva o da dove, la questione del colore è vera fino a un certo punto perché c’è un sacco di gente pallida che l’ha capito e che lo suonava, o lo suona, se è tutt’ora vivente,  come si deve. Gente come Eric Clapton (inglese), John Mayall (idem), Gary Moore (irlandese - R.I.P.), Rory Gallagher (irlandese – R.I.P.), Sean Costello (americano – R.I.P.), Tolo Marton (italiano), Guido Toffoletti (idem – R.I.P.).  L’idea (sbagliatissima, secondo me) è che il blues sia noioso, triste e cupo. Il blues celebra la vita in ogni suo aspetto, nel bello e nel brutto, ma senza fare finta che quest’ultimo non esista.  Però ti offre una speranza, sempre. Anche quando sei  nella merda più puzzolente, c’è qualcosa che ti tirerà su e dovrai essere lì pronto a godere del momento. Una donna, un sapore, uno sguardo. Qualcosa. In Red House Jimi dice, non senza un apunta d’ironia: “If my baby she don’t loves me no more, I’m sure her sister will”. Easy. Il blues ha a che fare con quello che siamo e chi lo ascolta deve avere il coraggio di lasciarsi andare, così come chi lo interpreta, completamente. Per scoprirsi o per ritrovarsi.   

mercoledì 2 marzo 2011

Neurodeliri

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domenica 27 febbraio 2011

Alive & kickin'

Sono circa tre anni che non aggiorno il blog, più o meno da quando Féisbuck ha cominciato ad assorbire il mio tempo cancellando le idee. A breve, proprio in relazione a questa cosa, posterò un pezzo dedicato a FB, ma per celebrare il "rientro ufficiale" sul blog, chiudo il cerchio ripubblicando un vecchio post che ho riciclato su FB. Non fa una piega, no? E poi stasera si suona, quindi...

Come si Canta il Blues (guida pratica, testo unico)

di Lame Mango Washington (attribuito a Memphis Earlene Gray con la collaborazione di Uncle Plunky, revisioni a cura di Cpt. Costina, Little Blind Patti D. & Dr. Stevie Franklin, trad. e adattamento di Capitan Costina)

1. la maggior parte dei Blues cominciano con "Woke up this morning." (mi sono svegliato stamattina)

2. "I got a good woman" (ho una brava donna) è una maniera sbagliata per cominciare un Blues, a meno che non si pareggi la situazione immediatamente attaccando qualcosa di brutto nel verso successivo tipo "I got a good woman, with the meanest face in town." (ho una brava donna con la peggior faccia che si possa trovare in città).

3. Il Blues è semplice. Se sei riuscito a beccare il primo verso e a renderlo efficace, ripetilo. Poi cerca qualcosa che faccia rima, qualcosa del tipo: "Got a good woman - with the meanest face in town. Got teeth like Margaret Thatcher - and she weights 500 pound." (ho una brava donna con la peggior faccia che si possa trovare in città. ha i denti come quelli di Margaret Thatcher e pesa 500 pound - ok, in italiano non fa rima, ma il blues in italiano non esiste. e nessuno si azzardi a dire che zucchero fa blues).

4. il Blues non ha a che fare con la possibilità di scegliere. sei dentro a un cavolo di fosso, un maledetto buco oscuro, piantato nel terreno, ochei? Se hai le palle, datti da fare ed esci dal buco che nessuno ti aiuta.

5. Automobili Blues: Chevy, Cadillac e furgoni americani da rottamare a vista. Il Blues non viaggia a bordo di Volvo, BMW o SUV. i veicoli più blues di tutti sono i bus Greyhound o i treni dei pendolari. nemmeno gli aerei sono blues, a meno che non cadano con il bluesman a bordo e lui non sopravviva. camminare un sacco, invece, fa poderosamente parte del "blues lifestyle". come ubriacarsi fino alla morte. Moto: Indian o Harley.

6. i Teenager NON possono cantare il Blues. semplicemente perchè non hanno ancora cominciato a ubriacarsi fino alla morte. gli adulti cantano il Blues. nel Blues, "essere adulti" significa essere abbastanza grandi per essere condannati alla sedia elettrica se spari a qualcuno giù a Memphis.

7. il Blues può essere ambientato a New York City ma non alle Hawaii o in qualsiasi zona del Canada. problemi esistenziali a Minneapolis-St. Paul o Tucson rappresentano una semplice depressione. Chicago, St. Louis e Kansas City sono i posti migliori per farsi venire il Blues. infatti, non puoi avere il Blues in un posto dove non piove. quindi Varese va benissimo.

8. un uomo con la classica pelata da ragioniere non è blues. una donna con lo stesso problema si. purtroppo per lei. così come romperti una gamba sciando non è blues mentre farlo perchè un alligatore ha cercato di staccartela lo è. un sacco. (rimane da capire cosa cazzo volevi dall'alligatore).

9. non puoi sentirti Blues in un ufficio o in un centro commerciale. è un problema di luce. troppa. il bagno dell'ufficio può essere blues, specialmente a fine giornata, così come il posteggio del centro commerciale dopo l'orario di chiusura.

10. ottimi posti per trovare il Blues:
a. autostrada
b. prigione
c. letto vuoto
d. alla fine di un bicchiere di whisky

11. posti sbagliati dove non lo troverai mai:
a. ashram in india
b. inaugurazioni di mostre d'arte contemporanea
c. feste universitarie
d. campi da golf, non ci sono i posacenere

12. nessuno crederà mai che hai addosso il Blues se porti un bel completo con tanto di cravatta. a meno che tu non abbia più di 60 anni, sia negro e soprattutto sembri chiaro che, nel tuo bel completo, è una settimana che ci dormi dentro

13. hai il diritto di cantare il blues?
Si, se:
a. ti ricordi l'avvento dell'elettricità
b. sei cieco
c. hai sparato a qualcuno giù a Memphis
d. non riesci a trovare la pace ("can't be satisfied - oh yeah")

No, se:
a. hai ancora tutti i denti
b. eri cieco ma grazie a un'operazione sofisticatissima ora ci vedi
c. l'uomo di Memphis è sopravvissuto
d. hai una pensione integrativa

14. cantare il Blues non ha a che vedere con il colore della pelle. è una questione di semplice sfiga.
Tiger Woods non può cantare il blues.
Gary Coleman (Arnold) potrebbe.
Johnny Winter (alcolizzato, tossico e albino) può.

15. Se chiedi un bicchiere d'acqua e la tua "ol' lady" ti serve una pinta di benzina, quello è Blues.
Altre bevande Blues accettabili sono:
a. vino
b. whiskey o bourbon
c. acqua fangosa (muddy water)
d. caffè nero

le seguenti NON SONO bevande Blues:
a. long drink e cocktail con frutta e ombrellini
b. vino kosher
c. snapple, gatorade, red bull, burn e gli energy drink in generale
d. acqua gassata a meno che non sia usata per smacchiare il sangue di quello cui hai sparato giù a Memphis

16. quelle in motel pulciosi o baracche di lamiera sono morti Blues.
accoltellato alla schiena da un'amante gelosa è un'altra maniera blues di morire.
condannato alla sedia elettrica per aver sparato a uno giù a Memphis, abuso di sostanze tossiche o abbandonato in un vicolo dentro una scatola di cartone sono morti molto blues.

NON si muore Blues per un infarto durante una partita di tennis o per complicazioni successive a un'operazione di liposuzione.

17. nomi Blues per donne:
a. Sadie
b. Big Mama
c. Bessie
d. Fat River Dumpling

18. nomi Blues per uomini:
a. Joe
b. Willie
c. Little Willie
d. Big Willie

19. persone con nomi tipo Sierra, Sequoia, Auburn, Rainbow, Gianmarco o Selvaggia non possono cantare il Blues, non importa a quanti uomini abbiano sparato giù a Memphis.

19. Componi il tuo nome Blues (starter kit):

a. definizione di una menomazione fisica (Blind, Cripple, Lame, etc.)
b. primo nome (vedi sopra) più il nome di un frutto (Lemon, Lime, Kiwi,etc.)
c. cognome di un presidente americano (Jefferson, Johnson, Fillmore, etc.)

Esempio: Blind Lime Jefferson, o Cripple Kiwi Fillmore, etc. (Ok, forse non "Kiwi"...)

20. Non è importante quanto tragica sia stata la tua vita: possiedi un computer e lo sai usare (apparentemente), quindi non puoi cantare il blues.
meglio se lo distruggi.
Adesso.
Puoi usare: il fuoco, versarci sopra una bottiglia di Wild Turkey o sparargli addosso.

non è importante.

Se ti stai domandando perchè io posso cantare blues, visto che ho postato questo pezzo con un computer su una rete basata su computer e tu proprio non puoi, sappi che ho prima di usare il computer ho imparato a cantare blues. Prima, oh yeah.

Basta là.