lunedì 6 gennaio 2020

Avere il blues



Avere il blues è una roba strana. Dicono che per averlo bisogna essere afroamericani (insomma… un po’ scuri di pelle) e che è una cosa che ti prende quando meno te lo aspetti. A parte il fatto che sul serio non sai quando arriva, al massimo intuisci da dove, la questione del colore è vera fino a un certo punto perché c’è un sacco di gente pallida che l’ha capito e che lo suonava, o lo suona se è tutt’ora vivente, come si deve. Gente come Eric Clapton (inglese), John Mayall (idem), Gary Moore (irlandese - R.I.P.), Rory Gallagher (irlandese – R.I.P.), Sean Costello (americano – R.I.P.), Sean Chambers (americano), Tolo Marton (italiano), Guido Toffoletti (idem – R.I.P.). Ok, molti sono morti, ma il dato non è assolutamente fondamentale. In tanti casi dipende dall’età, in altrettanti dipende dai demoni che hai addosso perché sì, se lo lasci fare, se sei predisposto, il blues ti mette a nudo e in contatto coi tuoi demoni dato che apre le porte dove li hai richiusi. Anche quelli che dicono di non averne, di porte e di demoni, li hanno entrambi, d’altronde li abbiamo tutti. Il blues è una chiave che, se la usi, può aprire quelle porte. Ciò che trovi oltre la porta non è mai certo. Ti può mangiare vivo come dare una spinta verso l’alto o verso il basso. Non lo sai mai. Nel corso della mia vita ho incontrato un sacco di gente potenzialmente blues, ma di musicisti italiani con quella sensibilità, quelle porte aperte, forse tre, massimo quattro e uno di loro non è più qui. Un altro, per fortuna, ho ancora il piacere di frequentarlo e ascoltarlo, talvolta persino di cantarci insieme. L’idea sbagliatissima, secondo me, è che il blues sia noioso, triste e cupo. Il blues celebra la vita in ogni suo aspetto, nel bello e nel brutto, ma senza fare finta che l’ultimo non esista. Talvolta ti offre una speranza, più spesso di dice di tirare su la testa e tirare diritto perché anche quando sei  nella merda più puzzolente arriverà qualcosa e tu dovrai essere lì, pronto a godere del momento. Una donna, un sapore, uno sguardo, un sorso. Qualcosa. In Red House Jimi dice non senza una punta d’ironia: “If my baby she don’t loves me no more, I’m sure her sister will”. Easy. Il blues ha a che fare con quello che siamo e chi lo ascolta deve avere il coraggio di lasciarsi andare, così come chi lo interpreta, completamente. Per scoprirsi e per ritrovarsi. Se non ti lasci andare, suonerai o canterai sicuramente bene, magari farai anche un grande concerto, ma non avrai goduto, non avrai cavalcato l’onda e non avrai lasciato che la TUA onda esca ripulendo la tua anima.   

Ricette Hobbit


Pan di Via della partenza
Lembas degli Elfi
(per 4 persone)

• 300 gr di farina
• 1 bustina di lievito per dolci
• 100 gr di zucchero
• 1 uovo intero
• 250 ml di latte
• 100 gr di miele
• 50 gr di burro
• 50 gr di panna fresca

Mescolate burro, miele, panna fino ad ottenere una crema soffice. Separate l'albume e il tuorlo e sbattete il tuorlo con il latte. Tenetene da parte poco per spennellare il pan di via prima della cottura. Unite il latte con il tuorlo alla farina e mescolate cercando di evitare i grumi. Aggiungete lo zucchero al composto di miele, panna e burro, poi il lievito e infine l'albume d'uovo montato a neve. Unire tutto e lavorare a pasta morbida. Tirare a sfoglia alta 3 mm con un mattarello e tagliate i lembas a triangoli o quadrotti, sistemarli in teglia su un foglio di carta da forno, tenendoli a 1 cm di distanza tra loro. Pennellate la superficie dei biscotti con uovo e latte, cuocete per 12 - 13 minuti in forno già caldo a 250 gradi. Servite freddi e, se non siete in viaggio, accompagnate i lembas con un po' di crema alle mele.


Crema alle mele 

• 500 gr di crema pasticcera soda e fredda
• 250 gr di polpa di mele cotte
• 1 cucchiaio di idromele (facoltativo)
• 1 pizzico di cannella (facoltativo)

Sbucciate le mele, tagliatele a pezzetti e mettetele a cuocere in un pentolino con poca acqua. Quando saranno diventate morbide toglietele dall'acqua di cottura e frullatele o schiacciatele con una forchetta. Incorporate alla crema pasticcera fredda la polpa di mele fredda, mescolando con delicatezza. Volendo si può aromatizzare la crema con un cucchiaio di idromele o con della cannella. Questa crema e ottima dentro le brioche tiepide appena sfornate!


Trotelle ai funghi porcini 
(per 6 persone)

• 6 trotelle da 200 gr ciascuna
• 600 gr di porcini freschi
• olio d'oliva
• 1 bicchiere di vino bianco secco
• 1 rametto di timo
• aglio, sale, pepe, prezzemolo
Spaccate le trotelle e togliete accuratamente le lische. Fatele macerare nel vino bianco per 1 ora con il sale, il pepe e il timo. Cuocete i pesci in una padella con l olio aggiungendo in ultimo il vino bianco rimasto. A parte cuocete i funghi porcini affettati, per cinque minuti in olio, aglio tritato e prezzemolo. A cottura ultimata, coprite i pesci con u funghi e irroratele con olio a crudo.

Fragole nella neve 
(per 8 persone)
• 1 kg di fragole
• 500 gr di zucchero
• 4 albumi d'uovo
• 1 pizzico di sale
• 200 gr di panna montata
• alcune fragole per decorare

Mettete le fragole in una ciotola e schiacciatele con la forchetta. Aggiungete un po alla volta lo zucchero e mescolate con cura. In un altro contenitore mettete le chiare d'uovo, il pizzico di sale e montate a neve ferma. Aggiungete agli albumi la panna, le fragole e versate tutto nelle coppe. Decorate con qualche fragola.

Le ricette sono tratte da
"A tavola con gli Hobbit"
di Cinza Gregorutti e Luisa Vassallo
Edizioni Ancora 2003
pagg. 192
euro 14

domenica 31 agosto 2014

Alcune cose che ho scoperto della Calabria

Disclaimer: il tutto è, ovviamente, visto attraverso la mia personalissima lente deformante che, come alcuni sanno, è piuttosto deformata.

Nota: “ho scoperto” è inesatto poiché esse (le cose) preesistevano alla mia venuta, quindi in effetti il titolo è sbagliato. Dato che non c'ero mai stato sarebbe forse più corretto dire “alcune constatazioni personali sulla Calabria”, ma sarebbe un po' una roba tipo “cerchiamo il pelo nell'uovo”.

Nota 2: rileggi il disclaimer.

Nota 3: questo scritto è stato buttato giù a casaccio, senza ordine di importanza o preferenza perché sono un artista fanatico dello “stream of consciousness” quindi a me va bene così. Se non sapete cos'è quella roba lì in inglese (perchè è inglese), cliccate qui.



Cosa n.1 che ho scoperto della Calabria
Come ti siedi a tavola ti si restringono i vestiti. Malgrado sia fidanzato da due anni con una donna d'origine calabrese e abbia partecipato ai consueti pranzi domenicali, pensavo di essere abbastanza allenato. Non c'entra niente. Lei, i suoi genitori e i fratelli sono tutti in forma e l'allenamento non serve a un tubo, ho quindi dedotto che è proprio l'aria calabrese che influisce sulla tenuta dell'abbigliamento.






Cosa n.2 che ho scoperto della Calabria
Il Codice della Strada non è l'insieme di norme che disciplinano la circolazione di auto e motoveicoli, ma piuttosto un insieme di consigli, quasi opinioni, espressi da qualcuno che in Calabria non ha mai guidato. Ne consegue che sorpassi e diritto di precedenza sono questioni piuttosto complesse e delicate. O facilissime, dipenda da che lato li si guarda.
Cosa n. 2bis che ho scoperto della Calabria
Sulle strade a due corsie, ne esiste una terza “fantasma” utilizzata per i sorpassi e gli scontri frontali.


Cosa n. 3 che ho scoperto della Calabria
Il mare è di una bellezza assassina, limpido, cristallino, con tonalità che vanno dal verde al blu scuro passando per tutto lo spettro dei blu-verdi eccetera. Questa bellezza è seconda solo alle meduse che lo abitano e a qualche squalo che ha sbagliato strada.


Cosa n. 4 che ho scoperto della Calabria
L'ottimo vino genuino è così genuino e denso che lo puoi tranquillamente usare per ritinteggiare le pareti di casa. Sempre che ti piaccia il viola.





Cosa n. 5 che ho scoperto della Calabria
Qualunque cosa abbia avuto una vita (animale o vegetale) può essere impanata, fritta e mangiata. E mi piace. Anche la verdura.

Cosa n. 6 che ho scoperto della Calabria
In Calabria si pubblica questo quotidiano e questa rivista che apparentemente non hanno nulla in comune. Io credo che qualcosa ci sia. I fucili puntati.







Cosa n. 7 che ho scoperto della Calabria
I calabresi non parlano tutti come Sergio Vastano o quell'altro che grida “Franco! O Franco!”. I reggini, in particolare, non hanno un accento in grado di rimescolare i neuroni, a patto che non decidano di comunicare con voi in dialetto. In questo caso, se avete richiesto un'indicazione stradale (ma c'è ancora qualcuno che gira senza navigatore?), siete abbastanza fottuti.


Cosa n. 8 che ho scoperto della Calabria
I Bronzi di Riace sono bellissimi e me li andrò a rivedere a Milano in occasione dell'Expo. Tuttavia sono la meravigliosa rappresentazione plastica della vecchia barzelletta “Turi! Turi! E tu tieni tutta 'sta dinamite ma una miccia così corta?






Cosa n. 9 che ho scoperto della Calabria
La destra e la sinistra non esistono. Senza alcuna allusione politica. Alla guida, l'indicazione più precisa sulla direzione da prendere, massimo-massimo, sarà “scendi per sotto” o “sali per sopra”.
Cosa n. 9bis che ho scoperto della Calabria
Alla stessa maniera, non so se per una scelta macho-linguistica, le scatole (quelle di cartone) non esistono. Si parla solo di “scatolo” che non viene mai “passato”, ma “sceso” o “salito” a seconda della direzione nella quale si muove.



Cosa n. 10 che ho scoperto della Calabria
Tolta la spazzatura e un certo numero di edifici orripilanti, Reggio Calabria potrebbe essere bella come San Francisco. Se poi facessero il Ponte sullo Stretto, sarebbe ugualissima, solo che a Reggio si mangia un gelato migliore e a San Francisco si sognano la granita al caffè con panna e brioche. Vedi oltre.

Cosa n. 11 che ho scoperto della Calabria
La granita al caffè con la panna è una roba che non mi aspettavo. Cioè. Sono vent'anni che mi rompono i coglioni con 'sta granita al caffè con panna e brioche ma non pensavo che fosse davvero così buona. Di bestia.

Cosa n. 12 che ho scoperto della Calabria
Ok, non è solo qui. Ma la brioche è questa. L'altra, il mio croissant, si chiama “cornetto”, come quello Algida o i fagiolini.

Cosa n. 13 che ho scoperto della Calabria
Le donne calabresi che ho incontrato, sono sembrate eccezionalmente rilassate. Sempre. A me ne deve essere capitata una “difettusa”, come dicono in Calabria. Non escludo, tuttavia, che il fatto di nascere a Milano negli anni '70 abbia influito sul suo umore di fondo.

Cosa n. 14 che ho scoperto della Calabria
C'è gente reale, nel senso che l'ho incontrata di persona e ci ho pure pranzato insieme, che non ha il cappotto. Questo non per motivi di disagio sociale, ma semplicemente perché non ne ha bisogno e va a fare il bagno in mare fino a ottobre. E io questa gente l'ho odiata. Brevemente, almeno fino al secondo giro di Amaro del Capo.

Cosa n. 15 che ho scoperto della Calabria
Se esci in compagnia e hai intenzione di fare il brillante pagando tu la serata, preparati a duelli all'ultimo sangue tipo Cavalleria Rusticana, Ordalia o robe che contengono spade, cavalieri e armature. Se sei ospite, sei ospite.

Cosa n. 16 che ho scoperto della Calabria
Il pisolino pomeridiano è sacrosanto ed è praticato a livello agonistico, un po' come la siesta in Messico, ma senza sombreri. In estate, nei centri abitati, prima delle cinque del pomeriggio trovi aperte solo le banche. E mentre stai morendo disidratato capisci il perché.

Cosa n. 17 che ho scoperto della Calabria
In Calabria si effettua la raccolta differenziata della spazzatura. Nel senso che alcuni rifiuti vengono regolarmente ritirati. Altri, probabilmente quelli “differenti”, tendono a smaterializzarsi autonomamente nelle zone circostanti i cassonetti. Di norma, per autocombustione.

Cosa n. 18 che ho scoperto della Calabria
Le distanze esistono ancora, nel senso che se tra il paese X e il paese Y ci sono 25 chilometri, si attraversano 25 chilometri di natura selvaggia dove, schivando gli incendi, il viaggiatore incontrerà fauna selvatica di vario genere tipo volpi, gatti e ratti. Anche se appiattita a livello suolo quindi con scarsissime possibilità d'interazione. In altre zone d'Italia come la Lombardia, invece, è tutto un susseguirsi di paesi senza soluzione di continuità. Se devi andare in via Roma, potresti comunque arrivarci, però nel paese sbagliato (comprare un cazzo di navigatore o scaricare un'app, cribbio!).


Cosa n. 19 che ho scoperto della Calabria
Nei centri urbani, l'uso del casco per i motociclisti non è affatto disatteso. L'usanza di non indossarlo, persiste tuttavia nei piccoli centri abitati dove, solo i più prudenti, lo portano appeso al braccio, come una borsetta. Forse perchè sono troppo belli. 





Cosa n. 20 che ho scoperto della Calabria
Si tratta di una terra che non mi azzarderei mai a definire “magica”, “incantata” o un qualsiasi aggettivo sufficientemente ruffiano e idiota da leccare in modo lubrico le sinapsi di un potenziale turista (puntando alla sua carta di credito). È comunque un luogo splendido, pieno di problemi che una percentuale importante di calabresi affronta quotidianamente. Non bisogna dimenticarlo, quando ci si viene, e non bisogna giudicare troppo. Almeno se non si sono fatti un po' di chilometri con le scarpe di questa gente dal cuore grande.

Cosa n. 20bis che ho scoperto della Calabria
Da Varese, la Calabria è fottutamente lontana. Specialmente al ritorno che è tutta salita.  

mercoledì 22 agosto 2012

Delirio da caldazzo: il freddo in macchina

Siccome che c'ho il mal di gola definitivo dovuto all'aria condizionata a manetta in auto, mi sono interessato di 'sta cosa del freddo in macchina e ho scoperto cose interessantissime sui lamantini che uno dice "cazzo c'entrano i lamantini" e ha pure ragione, se vogliamo.
Secondo alcune tavolette di argilla ritrovate 15 anni fa nel retro del ristorante cinese La Grande Muraglia di Vergate sul Membro (ridente? località tra San Colombano al Lambro e Minchiate sul Mincio), i primi allevatori di aria fresca sono stati i Vichinghi che la esportavano in tutta Europa e tentavano di scambiarla con derrate alimentari, pelli di animali e protesi di vario genere. Il problema che i Vichinghi non riuscivano a risolvere era che l’aria fresca non sopportava bene il viaggio e, una volta inscatolata, finiva per morire lasciando i clienti molto insoddisfatti. I Vichinghi, mite popolo di commercianti che ben conoscevano le pubbliche relazioni ma non erano affatto adusi all’idea di customer care, basavano le loro trattative sul concetto di “visto e piaciuto” che molti secoli più tardi sarebbe diventato estremamente popolare grazie a ebay.  In questo senso, quando i clienti reclamavano per le casse di aria fresca morta, esigendo di essere risarciti, i Vichinghi li uccidevano seduta stante e ne violentavano le mogli per poi incendiarne le case. Da qui si capisce facilmente che l’aria fresca è una risorsa estremamente delicata che andrebbe tutelata come si deve, un po’ come i lamantini. Cos’è un lamantino? In linea di massima è un siluro di carne che bruca le alghe.
Tra le idee più interessanti per riuscire a tenere viva l’aria fresca senza incorrere nelle ire dei Vichinghi, va segnalato l’ingegnoso sistema di aria condizionata montato sulle Studebacker che sfruttava un mammozzone attaccato al finestrino che convogliava l’aria (spesso calda) e la rinfrescava sfruttando la presenza di acqua all’interno del mammozzone stesso. Ignoro come, a sua volta, l'acqua fosse refrigerata. I risultati non garantivano il mal di gola da competizione che ho io, ma per lo meno permettevano di attraversare la Valle della Morte senza diventare parte del paesaggio. Certo, se uno si fermava a fare delle fotografie e gli entrava in macchina uno scorpione il rischio c'era lo stesso, ma l’aria fresca non c’entrava una mazza. Quanto alla Studebacker, si trattava di una macchinetta bruttarella, che poteva andare bene nei fumetti di Dick Tracy ma che dal vivo non è mai stata bellissima. Come casa automobilistica, la Studebaker ha chiuso battenti e produzione nel’96 dopo una storia centenaria che la vide cominciare l’attività realizzando carri per agricoltori, per minatori e veicoli militari, un approccio che spiega molto quando parliamo di linea e appeal di quei veicoli. Però è stata tra le prime a pensare all’aria fresca in macchina. Quindi ecco le radici del mio mal di gola. Ma guarda un po’.

martedì 27 marzo 2012

La mia Jenna è per sempre.

L’ho letto da qualche parte e l’ho detto io stesso diverse volte: biker non si diventa. Lo si è e basta. Non è una scelta razionale, è una cosa che hai dentro e che non è nemmeno legata al possesso reale di una motocicletta, alla maniera in cui la guidi o a quanto spingi quando ci stai seduto sopra. Conosco biker (o più in generale rider) che a piedi lo sono molto più di tanti “poser” che, perché indossano una t-shirt o fanno la faccia brutta per due giorni alla settimana, pensano di essere quello che non saranno mai. Insomma non ci si improvvisa, biker si nasce. E potrai anche spendere migliaia di euro in accessori e abbigliamento, riempirti di teschi sulla pelle, ma certe cose non le compri perché – semplicemente – non te le vende nessuno. Certo, tutto parte dalle moto e dallo sguardo di un ragazzino che spera di crescere in fretta per comprarsi le sue prime due ruote - o le prime ali, dipende da come la si vede. La moto rimane il centro di un mondo che ha tanta apparenza quanta sostanza, se la vai a cercare. Uno spot televisivo HD diceva che “vestiamo di nero perché il nero non mostra sporcizia o debolezza”. Beh, è vero… se scavi appena appena scopri dei cuori grandi e persino qualche cervello (quello non sempre). Ci piace andare a un motoraduno, vagare senza meta o con un obiettivo prefissato, ma senza l’assillo dell’orologio. Ci basta stare con la nostra moto, sentirne il cuore, incontrare persone con le quali condividere. Storie, risate, magari anche solo una birra, tutto ascoltando il ticchettio del motore che si raffredda in una notte di primavera... Non ho bisogno di hotel a cinque stelle e nemmeno di ristoranti da forchettine Michelin. Mai avuto. Voglio solo aria in faccia e asfalto sotto le ruote. Non mi interessa quello che la gente pensa quando sono in sella alla mia moto che è vecchia e ha un sacco di chilometri. Io so chi sono. So cosa voglio. Non so dove vado... ma l'importante è andare.
– ringrazio Fabio per l’ispirazione. Questo post nasce dall’ipotesi di privarmi della mia moto e dal primo ricordo che ho di un’Harley Davidson. 1974, Electra Glide della Politoys. Un giocattolo. Oggi, dopo quasi 40 anni da quella folgorazione, guido proprio quel modello...

mercoledì 14 marzo 2012

tecnologia portami via. Ma anche no.

Ragionacchiavo a casaccio (una cosa che mi viene benissimo, per altro, ma ho la skill da pendolare che mi garantisce un +3 al Neurodelirio da Trasporto) e mi sono accorto che, di base, ormai della tecnologia non mi frega poi molto. Questa cosa, avendo scelto di lavorarci a contatto più o meno diretto, può anche essere un paradosso, ma la vedo come una superba opportunità di scegliere come impiegare il mio residuale tempo libero che, in realtà, è veramente pochino. Caso mai servisse una definizione sintetica di “residuale” la trovate lì. Scegliere. Questa è la parola che ha realmente importanza. L’azione prevista da un verbo all’infinito che sempre più spesso ci è consapevolmente o inconsapevolmente preclusa grazie ai geni del marketing. Esempio: Microsoft ti obbliga a usare le sue cose, quindi Guglielmo Cancelli è Sauron, ma Stefano Lavori, con la sua serie di prodottini seducenti che ti accarezzano le sinapsi, era indiscutibilmente Satanasso. Tralasciando le mie impossibilità di scegliere se pagare o non pagare quella (i-n-s-e-r-i-r-e-i-n-s-u-l-to-a-p-i-a-c-e-r-e) di Equitalia che mi porterà a passare per l’ennesimo anno le mie ferie estive a casa, continuando il pendolarismo tra Varese e Pino Tronzano sul Lago Maggiore che comunque è un bel po’ meglio di Milano, mi sono accorto che scelgo sempre più consapevolmente di NON usare la tecnologia. Ok, non mi sono messo a macinare il caffè o a pestarlo con il martello, non ho piantato la verdura in giardino (quello l’ha già fatto il padrone di casa) e continuo a guidare una moto a carburatore vecchia di 13 anni che amo alla follia sulla quale non ho installato radio, navigatore o impianto denteblu per parlare al telefono mentre guido. Cioè, se sono in moto non mi si rompano i coglioni, grazie. Ho provato a leggere qualche libro su iPad e dopo aver traslocato mi sono maledetto per non aver sempre letto libri su iPad perché i fottuti libri pesano fottute tonnellate, ma quelli su iPad non profumano di stampa e non possono essere archiviati in libreria, una cosa che se sei seduto in poltrona ti consente di lasciare vagare l’occhio sulle coste e ricordare. Questo per dire cosa? Boh, forse, come al solito non lo so, ma può anche essere che l’uso spinto della tecnologia ci butta verso una fruizione sempre più facile ma sempre più superficiale di qualunque contenuto, visivo o sonoro che sia. I vecchi vinili avevano copertine che a volte erano opere d’arte, spesso si aprivano a libro rivelando altri contenuti, la “foderina” del disco conteneva altre foto e i testi delle canzoni. I CD offrono esperienze più compatte ma similari, magari qualche contenuto multimedia (il primo in cui mi sono imbattuto fu lo splendido Lions dei Black Crowes… e non ringrazierò mai abbastanza Pitone per avermeli fatti scoprire nel 2001), eppure era già l’avvisaglia di quello che sarebbe successo dopo: sintesi, tipo collant coprente 5 denari, tutto sempre più piccolo e semi illeggibile tanto che se vuoi bene alle tue diottrie, magari eviti di andare a cercare il nome dell’ingegnere del suono nella minuscola colonnina dei credit.
Questo a sua volta non significa che non rimango aggiornato e che non continuo a rimanerlo (anche se ho dei dubbi sulla “luce pulsata”), semplicemente, a differenza di qualche anno fa, nel mio tempo libero faccio altro. Tuttavia mi viene un dubbio: che questo post sia stato generato dai 200km suonati fatti domenica scorsa in compagnia di amici in mezzo alla natura e conclusisi perdendomi in un abbraccio che è stato come tornare a casa?